mercoledì 27 giugno 2012

Kenneth Koch, A Schoolroom in Haiti, trad. A. Panciroli

fonte: meganwislow.com



Ad Haiti, Port au Prince, un uomo passeggia avanti ed indietro  per i corridoi della scuola
impugnando un frustino.
Oh, non lo usa mai, dice il preside. Il suo fine è solo quello
  di instillare la disciplina agli studenti.
Erano tutti ragazzi sui quattordici, quindici anni,
ragazzi in camicia bianca e pantaloncini corti. Stavano dritti in piedi
e non si sarebbero seduti finchè il Ministro della Educazione
non avesse fatto loro un cenno.
Si concentrarono molto duramente sulle idee che avevano dato loro
per scrivere poesie.
Dopo che i funzionari se ne furono andati, iniziarono a scrivere le loro poesie in Creolo.
Dopo quattro o cinque giorni venne loro chiesto di farsi avanti e cantare al
resto della classe le loro poesie in Creolo. Fecero così.
Questa prova non fu più ripetuta. Il governo divenne ancor più
repressivo.
Una poesia inizia " N sta per nera, Nina,  una negra  di cui ero pazzo"
Il compito era scrivere una poesia sui colori delle vocali o delle
   consonanti alla maniera di Rimbaud.
Cosa ne è di quelle poesie? Cosa ne è stato di quegli studenti?
Ho le poesie qui a New York. Ad Haiti avevo chiesto di insegnare a ragazzi di dieci anni
ma mi era stato detto
che non avrebbero potuto scrivere abbastanza bene. Il motivo era che non
conoscevano il francese
 così bene da poter scrivere poesie. La loro lingua  era
il Creolo,
la lingua che parlavano a casa, ma al Liceo Toussaint L' Ouvertoure
ed in ogni altra scuola, le lezioni erano in francese.
I ragazzi erano bloccati dietro alla lingua francese. Incombeva su di loro come un muro.
Bloccava tutto.
Bloccava la matematica, bloccava la scienza, bloccava la storia, bloccava la letteratura
mentre il creolo rimaneva indietro, cuocendo la poesia
ma questo era tutto. La maggioranza di loro, tranne per i pochi ragazzi ricchi
che potevano  studiare francese nel pomeriggio,
veniva fatalmente lasciata indietro.



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