venerdì 8 ottobre 2021

Jorge Valdés CUANDO AMANECE

 


Las primeras palabras del poema

las escribe la muerte, y enseguida

se aduenan de la pàgina.Nos besan

las mejillas, los ojos, désplegando

su invisible poder sobre las cosas.

Una imagen oculta en la memoria

el parrafo inicial: "Cuando amanece

oigo a un nino que llora  sin remedio

en una habitacion desconocida":

Se apaga el cielo falso, nos encienden

en silencio  una lampara. En el pecho

hay un sudor de fiebre. Alguien murmura

las  ùltimas palabras:" Ya nos vamos".






Le prime parole della poesia

le scrive la morte, e subito

prendono controllo della pagina. Ci baciano

le guance, gli occhi, dispiegando

il loro invisibile potere sopra le cose.

Una immagine nasconde nella memoria

il paragrafo iniziale:" Quando  albeggia

sento un bumbo che piange senza rimedio

in una casa sconosciuta."

Si spegne il cielo finto,  si accende

in silenzio un lume. Abbiamo nel

petto un sudore di febbre. Qualcuno mormora

le ultime parole:"  Ce ne andiamo"




giovedì 22 luglio 2021

Una sera come tante di Giovanni Giudici

 


Una sera come tante di Giovanni Giudici.


Una sera come tante, e nuovamente

noi qui, chissà per quanto ancora, al nostro

settimo piano, dopo i soliti urli

i bambini si sono addormentati,

e dorme anche il cucciolo i cui escrementi

un’altra volta nello studio abbiamo trovati.

Lo batti col giornale, i suoi guaiti commenti.


Una sera come tante, e i miei proponimenti

intatti, in apparenza, come anni

or sono, anzi più chiari, più concreti:

scrivere versi cristiani in cui si mostri

che mi distrusse ragazzo l’educazione dei preti;

due ore almeno ogni giorno per me;

basta con la bontà, qualche volta mentire.


Una sera come tante (quante ne resta a morire

di sere come questa?) e non tentato da nulla,

dico dal sonno, dalla voglia di bere,

o dall’angoscia futile che mi prendeva alle spalle,

né dalle mie impiegatizie frustrazioni:

mi ridomando, vorrei sapere,

se un giorno sarò meno stanco, se illusioni


siano le antiche speranze della salvezza;

o se nel mio corpo vile io soffra naturalmente

la sorte di ogni altro, non volgare

letteratura ma vita che si piega nel suo vertice,

senza né più virtù né giovinezza.

Potremmo avere domani una vita più semplice?

Ha un fine il nostro subire il presente?


Ma che si viva o si muoia è indifferente,

se private persone senza storia

siamo, lettori di giornali, spettatori

televisivi, utenti di servizi:

dovremmo essere in molti, sbagliare in molti,

in compagnia di molti sommare i nostri vizi,

non questa grigia innocenza che inermi ci tiene


qui, dove il male è facile e inarrivabile il bene.

È nostalgia di un futuro che mi estenua,

ma poi d’un sorriso si appaga o di un come-se-fosse!

Da quanti anni non vedo un fiume in piena?

Da quanto in questa viltà ci assicura

la nostra disciplina senza percosse?

Da quanto ha nome bontà la paura?


Una sera come tante, ed è la mia vecchia impostura

che dice: domani, domani… pur sapendo

che il nostro domani era già ieri da sempre.

La verità chiedeva assai più semplici tempre.

Ride il tranquillo despota che lo sa:

mi numera fra i suoi lungo la strada che scendo.

C’è più onore in tradire che in essere fedeli a metà.


venerdì 28 maggio 2021

The Tale of a Niggun, di ELIE WIESEL, Il Racconto di un Niggun, traduzione Alessandro Pancirolli

 





  The Tale of a Niggun è una poesia narrativa scritta da Elie Wiesel negli anni 70, rimasta a lungo sconosciuta, pubblicata solo in un capitolo di una raccolta di saggi  , Perspectives on Jews and Judaism: essays in honor of Wolfe Kelman, edita  da Arthur A. Chiel ( New York: Rabbinical Assembly, 1978).

 Solo ora, grazie  a Mechael Pomeranz , il proprietario della libreria omonima  di Gerusalemme, il testo è tornato alla luce in questo piccolo libro, con le belle illustrazioni di Mark Podwal.

Una comunità ebraica di uno sperduto ghetto dell' Est Europa deve affrontare il terribile ricatto nazista: consegnare ai nazisti dieci ebrei da impiccare o essere sterminata...



§§§  IL RACCONTO DI UN NIGGUN §§§


Un ghetto,

da qualche parte ad est,

durante il regno della notte,

sotto cieli di rame

e di  fuoco.


I leader della comunità,

tutta brava gente,

coraggiosi tutti,

timorosi di Dio e obbedienti alla sua Legge,

vanno ad incontrare

il rabbino

che ha pianto troppo,

e ha interrogato

il buio,

per una risposta

con così grande passione

che non può più vedere.


E' urgente,

gli dicono,

è più che urgente,

è un problema

di vita o di morte

per alcuni ebrei

e forse

per tutti gli ebrei.


Parlate,

dice il rabbino

ditemi tutto:

non risparmiatemi nulla.


Questo è quel che chiede il nemico,

dice il più vecchio

dei vecchi ebrei

al rabbino

che ascolta

con il fiato sospeso.

Il nemico vuole

che dieci ebrei,

scelti da noi

gli siano consegnati

prima di domani sera.

Domani è Purim,

e il nemico,

volendo vendicare

i dieci figli di Haman,

impiccherà dieci dei nostri,

dice il più vecchio,

dei vecchi ebrei.

E domanda:

cosa dobbiamo fare rabbi?

Dicci cosa fare.


E i suoi compagni, 

gente coraggiosa

ma impaurita,

ripete con lui:

cosa dobbiamo fare rabbi?

Dicci cosa fare.


Noi abbiamo paura,

dice il più vecchio

dei vecchi ebrei,

paura di prendere una decisione -

paura di prendere la decisione sbagliata:

aiutaci, rabbi,

decidi per noi -

e

al nostro posto.


E il rabbino,

la loro guida

si sente tremare le ginocchia,

il sangue arrivargli in testa,

ha il petto che gli scoppia

e la stanza che gira,

gira

gli gira intorno,

così anche la terra,

così anche i cieli,

e presto,

sente

che cadrà

come cade un cieco,

vittima della notte

e dei suoi predatori.


Aspetta una risposta,

dice il più vecchio

dei vecchi ebrei,

il nemico aspetta una risposta;

dicci quale deve essere,

il nostro dovere è guidare

come il nostro dovere è ubbidire.


Che cosa dovremmo dire?

Chiedono i leaders

del ghetto,

da qualche parte ad est

sotto i cieli

proibiti e maledetti;

cosa possiamo fare

per non essere condannati?

...


Ma il rabbino tace;

sogna di sognare,

di non aver sentito nulla,

e di non aver vissuto nulla.

Sogna, il rabbino,

di essere qualcun altro,

di vivere da qualche altra parte,

lontano,

fuori dalle mura,

di affrontare altri problemi,

che riguardano Dio

e non la morte.


Ma gli infelici leader

dell'infelice comunità

lo guardano,

e lo guardano con tale forza,

con tale fede,

che sente che deve tornare a parlare.

Lasciatemi solo,

dice con una voce flebile ma cortese,

voglio che mi lasciate solo.

Devo pensare,

meditare,

devo andare alla fonte,

esplorare il profondo

e interrogare

il passato,

tornate dopo,

vi aspetterò,

lo prometto,

si,

prometto di non abbandonarvi,

e di non risparmiarmi.


Rimasto solo,

il rabbino,

con respiro affannoso,

si alza dalla sedia

e va alla sua libreria

per consultare il Rambam,

che ha previsto

tutti gli avvenimenti

di tutte le società;

le sue decisioni sono chiare

e precise,

semplici ed umane,

umanamente semplici.

E il Rambam,

senza esitazioni,

gli recita

la immutabile legge

della tradizione,

così dura e così generosa,

e così compassionevole, anche:

nessuna comunità,

anche quando costretta,

può sacrificare,

uno dei suoi membri;

meglio perire insieme

che consegnare al nemico,

fosse anche il più implacabile,

uno dei propri figli.


Il rabbino del ghetto comprende

ma si rifiuta di accettare:

La Legge è bella,

dice,

la Legge è luminosa,

ma  qui noi ci occupiamo

non delle idee

né della bellezza

ma del destino 

di una comunità

di una vivente comunità di Israele.

...


E il Rambam

tristemente risponde:

comprendo,

a te è concesso di dubitare

e anche di rifiutare

il mio giudizio,

sebbene sia basato

sulla giustizia

e sulla legge;

puoi aspettarti

un'altra risposta,

una soluzione più umana.

Ma,

fratello in Israele,

fratello nella Torah,

devi comprendere anche me:

io non ho previsto,

non ho potuto prevedere,

la tua difficile situazione,

la tua tragedia.

No, sfortunato rabbino,

no, povero fratello mio,

io,

Moshe figlio di Maimon,

non posso essere di alcun aiuto a te

o ai tuoi.

...

Così, ostinato e tenace,

il rabbino del ghetto

si volge verso altri maestri,

qualcuno più vecchio

e qualcuno più giovane

di Rabein Moshe -

che sapeva molto della sofferenza degli ebrei

ma non abbastanza della crudeltà

del nemico.

Si volge verso i

saggi di Babilonia

e Yavneh ,i

legislatori di Bnei Brak

e Fez, i

codificatori di Francia

e Spagna,

e tutti tristemente,

scuotono la testa:

rabbi povero rabbi,

povero fratello e collega,

se lui,

nostro maestro e guida,

Moshe ben Maimon,

se lui non può aiutarti -

come potremmo noi?

...


e ancora -

rifiutando la rassegnazione,

il rabbino del ghetto,

va dall'uno all'altro,

ripetendo sempre

la sua bruciante domanda:

mi hai insegnato molto

ma non abbastanza;

non mi hai detto

se

devo mandare dieci ebrei sulla forca

per salvarne migliaia.

Se

io debbo condannarli tutti

e lasciare che siano massacrati

così da salvare l'onore ebreo

così da salvare l'anima ebrea,

che non può morire

e che non di meno morirà.

Dov'è la verità, Rashi?

Dov'è la giustizia, Rabbeinu Tam?

Quale è la strada,

Saadia Gaon,

Quale è la strada

che porta alla Torah

e alla salvezza

allo stesso tempo?


E tutti i saggi,

tutti i commentatori,

mi danno la stessa risposta:

perdonaci,

giovane fratello,

perdonaci,

giovane collega,

non possiamo aiutarti -

perchè la nostra scienza

non può sostituire la tua.


E così -

da libro a libro,

da centuria a centuria,

da guida a guida

il rabbino giunge al Besht,

il più magnificente,

il più umano,

il più fraterno

dei saggi e dei maestri.

Ed egli scoppia in singhiozzi:

Israel, dice,

Israel figlio di Sara,

tu che hai consolato così tanti popoli,

in pericolo,

consola anche noi.

Tu che hai compiuto

così tanti miracoli

per così tanta gente,

intercedi in nostro favore.

Non ti chiedo

di sconfiggere il nemico,

nè di revocare il decreto;

tutto quel che ti chiedo

è di aiutarmi

a trovare una soluzione.

Se conosci la soluzione,

condividila con me,

perchè io non la conosco:

tutto quel che so è

che c'è la notte

intorno a me

e dentro di me;

ed io sprofondo,

attratto dal suo silenzio,

che è anche quello di Dio.

E il Besht,

fedele alla sua leggenda,

appoggia le mani sulle spalle del rabbi

e gli sorride,

e invece di parlare,

inizia a cantare con lui

un Niggun portentoso 

un Niggun senza parole,

un Niggun che neppure il Besht

o nessun'altro

ha mai cantato prima,

un Niggun che

concede

nascosti poteri e privilegi

che neanche angeli e serafini possiedono;

canta, il Besht,

e il suo viso risplende,

perchè è sicuro

che,

con questa canzone,

sarà capace

di rompere le catene

del diavolo

e della maledizione.


Ma

guai a lui

e guai a noi,

il suo niggun

è solo una debole canzone,

un grido d'aiuto,

e non un fucile.


Io credo di sapere il perchè,

dice il Besht

al rabbino del ghetto;

io so perché

i miei poteri mi hanno abbandonato,

io so perché;

ho il cuore che gronda di dolore,

troppo dolore,

e Dio dimora nella gioia -

solo nella gioia.

Aiutami,

fratellino-

non sei un rabbino di Israele,

come io stesso ero?

Aiutami a scacciare questa tristezza,

e vedrai,

vedrai cosa possiamo

ottenere

con la gioia,

aiutami a portare la gioia

dentro il mio cuore!

Ma

il rabbino del ghetto

sopraffatto dalla tristezza,

non può certo aiutare il Besht.


Bene, dice il Besht, allora

farò da solo.

Partiamo dall'inizio.

Voglio essere felice,

esuberante,

voglio cantare nell'estasi

e voglio danzare,

danzare con tutto il mio essere,

e gridare la  felicità

di essere ebreo,

di essere una creatura di Dio

di partecipare alla sua opera

e di occupare i suoi pensieri.

Voglio aprire i cancelli della felicità

e fargli inondare

il mondo di sotto

e il mondo di sopra,

e allora

l'assassino sarà fermato

e l'assassinio scongiurato.


Il Besht prova,

oh si,

prova duramente,

canta con tutte le sue forze,

canta

e danza,

e chiede alla gioia

di arrivare

e di prenderlo

e liberarlo

e di liberare anche noi

ma

guai a lui 

e guai a noi,

la gioia rifiuta di entrare

nel suo cuore

e rifiuta di penetrare

il suo canto.


Allora il Besht,

con lo sguardo spento,

ammette il suo errore:

perdonami

fratellino -

tu sei così vicino

e anche così lontano -

perdonami:

non posso aiutarti -

qualcuno non vuole

che io ti aiuti.

...

E io devo arrendermi?

Grida il rabbino

del ghetto.

No, dice il Besht.

Io devo arrendermi,

non tu.

Devi essere più forte di me,

loro hanno più bisogno di te

che di me.


Ormai disperato,

il rabbino bussa

alla porta

del vicino del Besht

suo amico e rivale:

Rabbi Eliyahu,

dice,

devi aiutarmi!

La comunità mi ha nominato

suo giudice -

e io non posso far nulla.


E allora il Gaon Eliyahu

chiude i suoi libri

e rompe il suo isolamento,

e guarda il rabbino-

La luce degli occhi

è la stessa

che avvolgeva il Sinai

molti anni fa:

Chi sei? gli chiede.

Sono un rabbino.

Da dove arrivi?

a quale libro appartieni?

Io vivo in un ghetto,

dice il rabbino.

Ho una domanda

a cui nessuno sembra capace di rispondere -

forse questa è una domanda

a cui non c'èrisposta.

Impossibile, dice il Gaon di Vilna.

Ogni domanda ha una risposta!

Hai cercato bene?

Ha consultato

le dovute fonti?

Hai studiato i Poskim

e le loro regole?

Hai vagliato i giusti testi?

E non trovasti nulla?

Nessuno segno,

nessun suggerimento?

No?

Bene - vediamo

lasciami pensare...

Dieci nomi,

tu affermi

il nemico richiede

dieci nomi,

giusto?

Sì, vedo,

aspetta,

vedo cosa faremo,

aspetta-

ecco la risposta

prendila!

E il Gaon Eliyahu di Vilna

gli porge

un foglio di carta;

e il rabbino del ghetto

lo prende

lo legge,

incredulo,

e lo legge ancora

e ancora:

un nome,

sempre lo stesso,

scritto dieci volte-

Eliyahu,

Eliyahu,

Eliyahu di Vilna,

dieci volte,

c'è scritto

il suo nome, dieci volte...


Sconvolto e commosso,

il rabbino sussurra:

Grazie,

grazie

di avermi mostrato la strada:


Il rabbino adesso è felice;

quasi felice;

ma d'improvviso

si sente chiamare

da una carezzevole voce. E' Levi,

Levi Yitzak di Berditchev,

Non mi piace questa soluzione,

dice il Berditchev Rebbe;

ti spinge nella solitudine

e ciò mi dispiace.

Un ebreo non è mai solo,

devi saperlo,

Anche quando muore,

non muore da solo.

Il sacrificio di sè non è la risposta,

mio giovane fratello

e compagno.


Quando un ebreo pensa di essere perduto,

deve trovare se stesso

dentro la comunità di Israele:

deve essere rafforzata

da lui

e non divisa:

sei  il nemico vuole uccidere,

lascialo uccidere -

e non dirgli

chi deve uccidere.

Il tuo ruolo,

giovane fratello e collega,

il ruolo di un rabbino

è di stare con gli Ebrei,

non di  affrontarli.

Fossero chiamati 

da Dio

o dal nemico,

dovessero scegliere

di rispondere,

sia quel che sia,

cammina con loro,

prega  con loro

o per loro,

urla con loro,

piangi quando piangono;

condividi la loro  angoscia

ed il loro dolore

così come hai condiviso con loro la felicità;

fai sì

che il sacrificio

imposto dal nemico

unisca le vittime

invece di separarle;

come rabbino,

c'è solo un obbligo

che devi seguire:

Gli Ebrei stiano insieme,

gli Ebrei

stiano insieme

come Ebrei.


Così

il giorno dopo,

il rabbino riceve

i più anziani del ghetto

e solennemente

li informa

della sua decisione:

il nemico ucciderà -

ma le sue vittime

non saranno

le nostre vittime;

noi rimarremo

insieme

ed insieme

affronteremo il nemico

come una sola persona


Poche ore più tardi

la notizia corre

per le strade malate

del ghetto

da qualche parte

ad Oriente

sotto cieli ostili

e crudeli.

E poco prima del tramonto,

nell'ora in cui,

in altri paesi,

gli Ebrei  si  radunano ovunque

nelle loro case di studio

e di preghiera

per recitare con gratitudine

l'evento miracoloso

che avvolge Mordechai

ed Esther

ed i loro amici Ebrei,

il nemico deporta gli abitanti

del ghetto

nel cortile

della vecchia sinagoga,

dove al più vecchio dei vecchi Ebrei

viene ordinato di rendere nota la sua decisione:

Chi saranno i dieci martiri?

Chi vivrà, chi morirà?


Fa un passo avanti

senza mostrare paura,

tutto il suo essere riflette

dignità,

il più vecchio dei vecchi Ebrei

dichiara con fermezza:

Nessuno di noi

merita di vivere o

morire più di un altro.

Attende un momento,

un lungo momento,

come se pensasse di voler

aggiungere

una spiegazione,

ma ci ripensa;

fa un passo indietro

ed è già 

circondato

da amici e parenti.

Il nemico è deluso?

Dirlo è impossibile.

Muove uno sguardo pigro

sugli abitanti del ghetto: giovani e vecchi,

istruiti e non,

uomini e donne,

ragazzi ed i loro insegnanti,

sono tutti qui.

E' soddisfatto il nemico

che nessuno manchi?

Dirlo è impossibile.

Guarda le sue vittime

e dice

semplicemente,

freddamente:

Tra un' ora,

un'ora esatta,

voi sarete tutti

morti.


E tutti gli Ebrei,

con un solo movimento,

si voltano verso il loro rabbi

come a chiedere conferma:

Ma è vero?

E' forse un sogno?

Un incubo? Una farsa?

Qualcuno piange,

altri sorridono,

guardando nel vuoto.

Teniamoci pronti,

dice il rabbino.

Ma non dice

pronti per cosa;

ciascuno lo sa.

Recitiamo tutti

insieme il Vidui,

dice il Rabbi

e dopo 

Sh'ma Ysrael,

tutti insieme;

che l'Altissimo accolga il nostro appello,

forse Egli non sa 

cosa accade qua sulla Terra.

Perciò,

amici,

fratelli,

noi canteremo

forte,

sempre più forte,

mi sentite?

Canteremo così forte

che il nostro canto riempirà

il  cielo e la terra...

Qualcuno lo guarda

ma non comprende;

altri comprendono

ma non osano guardarlo;

c'è chi si chiede:

cantare?

Vuoi che cantiamo

rabbi?

Qui? Adesso?

Si! Adesso!

il rabbi comanda.

Voglio che cantiate adesso!

Vi insegnerò

una canzone

che ho imparato solo oggi-

un niggun dedicato

a questo giorno!

Ed inizia a insegnare loro

il niggun

che il Besht,

col suo  disperato fervore,

gli ha cantato  

ore prima

...

E all'improvviso

il rabbino si accorge,

con gioia mista ad angoscia,

che la sua propria

comunità

è più grande di quanto avesse pensato.

Da tutte le parti

gli Ebrei sono arrivati

per unirsi ad essa.

Dalla Babilonia

e dalla Spagna,

dalla Provenza

e dal Marocco,

hanno lasciato il Talmud

per venire qui:

hanno lasciato il Tosafot

per venire qui,

hanno  lascito la storia

e la leggenda

per essere qui,

presenti a questo

rivolgimento della storia;

hanno lasciato

i loro luoghi di sosta

per venire in questo ghetto

a cantare e sognare

e questi Ebrei

che camminano verso la morte,

Akiva e i suoi discepoli,

Bar Kochba e i suoi guerrieri,

i saggi 

ed i ribelli,

pezzenti e principi,

Il santo Ari ed i suoi compagni,

Maggid e i suoi discepoli,

e Gaon di Vilna,

strano,

Gaon di Vilna

canta 

il niggun di  Besht,

come fa tutta la comunità,

come fa lo stesso Besht,

mentre  piange

e celebra 

la lealtà degli Ebrei

al suo popolo

e alla sua canzone.


Il nemico inizia il massacro

ma il niggun  gli sfugge;

il macellaio macella

ma le sue vittime

un minuto prima di morire,

aspirano all' immortalità

e la raggiungono

con il loro canto,

che no,

non può indebolirsi,

non può morire:

continua

e continuerà,

fino alla fine dei tempi

e anche oltre.



Glossario

Nota del traduttore: alcune voci del glossario non sono supportate in italiano, o lo sono in modo errato o insufficiente.  Abbiamo perciò inserito  alcune voci in lingua inglese .



Akiva ben Joseph, semplicemente noto come Rabbi Achivà (in ebraico: רבי עקיבא‎?; 40 – Tiberiade, 137), è stato un rabbino ed erudito ebreo tanna, martirizzato e ucciso dai Romani.Grande autorità della tradizione ebraica ed uno dei principali contributori all'Halakha, alla Mishnah e ai midrashim. Viene citato nel Talmud come Rosh la-Chakhamim ("Capo di tutti i Saggi"), ed è considerato come uno dei primi fondatori dell'ebraismo rabbinico.[1] È il settimo Saggio più citato della Mishnah.[2]

Simon Bar Kokheba, abbreviato Bar Kochba, Bar Kokhba o Bar Kochva[1] (in ebraico: שמעון בר כוכבא‎?, in italiano "Simone Figlio della Stella"; fl. 132 - 135; ... – ...), è stato un condottiero e rivoluzionario ebreo, pretendente al trono del regno di Giudea, che guidò la terza guerra giudaica contro i romani.Bar Kochba venne proclamato da Rabbi Akiva come messia, principe d'Israele e poi re di Giudea (o dei Giudei) dopo aver ottenuto una piccola vittoria contro Roma, ma alla fine venne sconfitto

 Besht,Israel ben Eliezer, (in ebraico: ישראל בן אליעזר‎?, Yiśrā'ēl ben Ĕlī‛ezer), meglio noto come il Baʻal Shem Tov (in ebraico: בעל שם טוב‎?, Baʻal Šēm-Ṭōv) (Podolia, 1698 – Medžybiž, 1760), è stato un rabbino e mistico polacco.Noto anche con il soprannome di Besht (BeShT, acronimo di Baʻal Shem Tov), per la sua reputazione di guaritore itinerante, fondatore del moderno chassidismo:[1][2] l'appellativo Baʿal Shem Ṭov significa infatti Maestro del Nome di Dio, ma può essere tradotto anche come Maestro del Buon Nome.

Bnei Brak takes its name from the ancient Biblical city of Beneberak, mentioned in the Tanakh (Joshua 19:45) in a long list of towns of ancient Judea. The name is also cited by some as continuing the name of the Palestinian village of Ibn Ibraq ("Son of Ibraq/Barak") which was located 4 kilometers (2.5 mi) to the south of where Bnei Barak was founded in 1924.

Esther "appare" nella Bibbia come una donna di grande pietà, caratterizzata dalla sua fede, dal suo coraggio, dal suo patriottismo, dalla sua prudenza e dalla sua risolutezza. Ella fu sempre fedele e obbediente a suo zio (o cugino) Mardocheo e si apprestò a compiere il suo dovere di rappresentare il popolo ebraico e di ottenerne la salvezza.Nella tradizione ebraica è vista anche come "strumento" della Volontà divina di Dio per impedire la distruzione del popolo ebraico durante un evento potenzialmente catastrofico ordito da un nemico di grande potere, Aman (cfr Digiuno di Ester, Ebraismo rabbinico, Festività ebraiche, Purim) durante il periodo dell'esilio.Secondo il Talmud (Meghillah) ella fu discendente della Dinastia davidica. Mardocheo fu della tribù di Beniamino .

Elia (Eliyahu) ben Shlomo Zalman più conosciuto come il Gaon di Vilna, oppure come il Gra (acronimo ebraico per Gaon Rabbi Eliyahu), (Sialiec, 23 aprile 1720 – Vilnius, 9 ottobre 1797) è stato un rabbino lituano. Fu uno dei rabbini maggiormente competenti degli ultimi secoli. Si dimostrò un eccellente talmudista, halachista, studioso e maestro di Kabbalah; soprattutto fu il leader del mondo ebraico anti-chassidico. Nella lingua ebraica si fa riferimento a lui come in ebraico: הגאון החסיד מווילנה‎?, haGaon haChasid miVilna, 'il buon genio da Vilna'


Haman (o Amano; ebr. Hāmān, gr. ῾Αμάν). - Ministro del re di Persia Assuero (cioè Serse figlio di Dario). Appare nel libro biblico di Ester come accanito nemico degli Ebrei, e in particolare di Mardocheo. La coraggiosa sagacia di Ester sventa i piani di A., che, dopo essere stato costretto ad assistere al trionfo del suo nemico, è fatto giustiziare dal re (474 a. C. ?). La storicità dell'episodio e della figura quale è rappresentata nel libro biblico è stata variamente discussa. L'epiteto di Agagita è inteso nel senso di discendente dal re amalecita Agag; o, secondo altri, originario del paese Agag nella Media.

Holy Ari  anche detto Yitzhak Luria, italianizzato col nome di Isacco Luria (in ebraico: יצחק לוריא‎?, Yiṣḥāq Lùria; Gerusalemme, 1534 – Safed, 25 luglio 1572), è stato un rabbino, mistico e teologo ottomano, kabbalista attivo a metà del Cinquecento nella città di Safed, nell'allora Palestina ottomana.Conosciuto anche con i soprannomi reverenziali di Ari («il Leone», acronimo di Ashkenazi Rabbi Yitzhak, «Il Maestro Tedesco Yitzhak»), Arizal, dove ZaL è l'acronimo di Zikhrono Livrakha («di benedetta memoria» o letteralmente «il ricordo di lui [sia] in benedizione», un tratto d'onore ebraico riservato ai defunti), e anche come Ari Ha-Kadosh («il Santo Ari»), Isacco Luria è stato uno dei pensatori più importanti nella storia della mistica ebraica.[1]


Levi Yitzchok of Berditchev (Levi Yitzchok Derbarmdiger (compassionate in Yiddish) or Rosakov) (1740–1809), also known as the holy Berdichever, and the Kedushas Levi, was a Hasidic master and Jewish leader. He was the rabbi of Ryczywół, Żelechów, Pinsk and Berdychiv, for which he is best known. He was one of the main disciples of the Maggid of Mezritch, and of his disciple Rabbi Shmelke of Nikolsburg, whom he succeeded as rabbi of Ryczywół.[1]Levi Yitzchok was known as the "defense attorney" for the Jewish people ("Sneiguron Shel Yisroel"), because he would intercede on their behalf before God. Known for his compassion for every Jew, he was one of the most beloved leaders of Eastern European Jewry. He is considered by some to be the founder of Hasidism in central Poland.[2] And known for his fiery service of God.


Rabbi Dov Ber di Mezeritch, conosciuto come il Grande Magghid (ebraico: דוב בער ממזריטש; 1704/1710(?) – 4 dicembre 1772), è stato un discepolo del Rabbino Yisrael Baal Shem Tov, fondatore del Chassidismo, e generalmente reputato suo successore. Rabbi[1].Dov Ber viene riconosciuto come il primo proponente ed esponente del Chassidismo e uno dei suoi più importanti propagatori.[2]I suoi insegnamenti appaiono su Magghid Devarav L'Yaakov, Or Torah, Likutim Yekarim, Or Ha'emet, Kitvei Kodesh, Shemuah Tovah, e in altre opere scritte dai suoi discepoli.


Mordecai (/ˈmɔːrdɪkaɪ, mɔːrdɪˈkeɪaɪ/;[1] also Mordechai; Hebrew: מָרְדֳּכַי‎, Modern: Mardoḵay, Tiberian: Mārdoḵay, IPA: [moʁdeˈχaj]) is one of the main personalities in the Book of Esther in the Hebrew Bible. He is described as being the son of Jair, of the tribe of Benjamin. He was promoted to Vizier after Haman was kille


Nigun (in ebraico: ניגון‎? significato: "aria" o "melodia", plur. nigunim) o niggun (plur. niggunim) è una forma di canzone o melodia religiosa ebraica cantata da gruppi. È una tecnica del canto, spesso con suoni ripetitivi come "bim-bum-bam" o "ai-ai-ai!" al posto di una lirica formale. A volte i versetti della Bibbia, o citazioni da altri testi ebraici classici, sono cantati ripetitivamente così da creare un nigun. Alcuni nigunim vengono intonati come preghiere di lamentazione, mentre altri possono essere gioiosi o vittoriosi.I nigunim sono in gran parte accorgimenti musicali improptu, sebbene possano basarsi su passaggi tematici e siano stilizzati in forma, riflettendo gli insegnamenti ed il carisma delle guide spirituali di una data congregazione o movimento religioso. I nigunim sono specialmente importanti nella liturgia dell'Ebraismo chassidico, che ha sviluppato le sue proprie forme spirituali strutturate a riflettere la gioia mistica della preghiera profonda, espressa nel deveku

Poskim(ebraico פוסק, po·ˈseq, pl. Poskim, פוסקים) è un termine della Halakha (legge ebraica) reso come "decisore" — uno studioso giurista che interpreta e decide l'Halakha in casi di legge ove passate autorità sono state inconclusive.La decisione di un posek è detta psak din o psak halakha ("decisione di legge"; pl. piskei din, piskei halakha) o semplicemente "psak". In ebraico, פסק è la radice che comprende "fermare" o "concludere" — il posek porta a termine il procedimento di dibattito legale. Piskei din sono di solito registrati in volumi chiamati responsa

La festività ebraica di Purim (in ebraico פורים, Sorti) cade il giorno 14 del mese ebraico di Adar.Ricorda eventi narrati nella Meghillà di Estèr, avvenimenti che risalgono a 5 secoli prima dell'Era Volgare.A Gerusalemme, a Susa (capitale della Persia) e nelle città cinte da mura ai tempi di Giosuè, la festa durava 2 giorni e si concludeva probabilmente al tramonto del 15 di Adar.[1]Il digiuno del giorno precedente ricorda quello fatto da Ester e Mardocheo per invocare aiuto divino nel far cambiare idea al Re Assuero, quando il perfido Amàn, consigliere del Re di Persia Assuero (Serse I), tramando per liberarsi degli ebrei, convinse inizialmente il Gran Re a ucciderli tutti. La moglie del Re, Ester, riuscì a ribaltare le sorti e a salvare il popolo ebraico residente nei territori della Persia.Questo digiuno viene quindi chiamato Digiuno di Ester e dura dall'alba fin dopo tramonto, a sera inoltrata.

Yaakov Ben Meir (1110 – 1171) è stato uno dei più famosi commentatori medievali del Talmud.Yaakov ben Meir (1100-1171), detto Rabbenu Tam (רבנו יעקב תם) è un Tosafista figlio e nipote di Rashi. Era soprannominato Rabbenu Tam, in riferimento al patriarca Yaakov che era "tam", vale a dire perfetto ed integro. Questo Tosafista di area francese è stato uno dei più importanti del suo tempo, ed è il soggetto principale dei Tosafot del Talmud babilonese.

Rashy Troyes 22 febbraio 1040 – Troyes, 13 luglio 1105), in ebraico רש"י, acronimo di Rabbi Shlomo Yitzhaqi (רבי שלמה יצחקי) e conosciuto anche con il nome latinizzato di Salomon Isaacides, da cui le forme italianizzate Salomone Isaccide oppure Salomone Jarco o Rabbi Salomone Jarco,[1] è stato uno dei più famosi commentatori medievali della Bibbia ebraica.Rabbino medievale francese, fu un rinomato e altamente stimato contributore aschenazita dello studio della Torah. È famoso come autore di un vasto commentario del Talmud e di un esaustivo commentario del Tanakh (Bibbia ebraica). È considerato il "padre" di tutti i commentari talmudici che seguirono (per esempio, Baalei Tosafot) nonché le esegesi bibliche (per es., Ramban, Ibn Ezra, Chaim ibn Attar, et al.).[2]


Saʿadya Gaʾon (ebraico רב סעדיה בן יוסף גאון סורא Rav Saʿadya ben Yōssef Geʾon Sūra, in arabo: سعيد إبن يوسف الفيّومي‎, Saʿīd ibn Yūsuf al-Fayyūmī ), detto רס״ג (acronimo RASSAG), fu un rabbino del X secolo, attivo in Egitto e nella Babilonia medievale (Iraq), nel Califfato Abbàside. Nacque a Dīlās (attuale Governatorato di al-Fayyum) tra il 27 giugno e il 5 luglio dell'882 (o del 892)[1] e morì a Baghdad nel 942.Gaʾon (Rosh Yeshiva, ossia direttore accademico) della città di Sura, egli fu una delle più celebri alte autorità spirituali.[2] e scientifiche del periodo dei Gaonim[3]

(Shema Israel or Sh'ma Yisrael; Hebrew: שְׁמַע יִשְׂרָאֵל‎; "Hear, O Israel") is a Jewish prayer, and is also the first two words of a section of the Torah, and is the title (better known as The Shema) of a prayer that serves as a centerpiece of the morning and evening Jewish prayer services. The first verse encapsulates the monotheistic essence of Judaism: "Hear, O Israel: the LORD our God, the LORD is one" (Hebrew: שְׁמַע יִשְׂרָאֵל יְהוָה אֱלֹהֵינוּ יְהוָה אֶחָֽד׃‎), found in Deuteronomy 6:4.[1]The verse is sometimes alternatively translated as "The LORD is our God; the LORD is one" or "The LORD is our God, the LORD alone." (Biblical Hebrew rarely used a copula in the present tense, so it has to be inferred; in the Shema, the syntax behind this inference is ambiguous.) The word used for "the LORD" is the tetragrammaton YHWH.


Simchat Torah (שמחת תורה) è una festività ebraica che si svolge al termine della festività di Sukkot. In ebraico significa "Gioia della Torah".Secondo la legge ebraica, i primi due giorni della festa di Sukkot sono giorni di festa piena. I cinque giorni successivi sono giorni normali che mantengono alcuni tratti della festività. Il settimo giorno è chiamato Hoshanah Rabbah e viene celebrato in una maniera particolare con preghiere e liturgia a sé.Nello stato di Israele Sukkot dura sette giorni includendovi anche Shemini Atzeret. Al di fuori di Israele, nella diaspora, Sukkot dura otto giorni. Mentre in Israele Simchat Torah viene celebrato lo stesso giorno di Shemini Atzeret, in diaspora viene celebrato il nono giorno, come festa a sé stante

Ta'anit Ester, Hebrew: תַּעֲנִית אֶסְתֵּר‎) is a fast from dawn until dusk on Purim ev-The fast commemorates one of two events in the Book of Esther: either Esther and the Jewish community ofhushan having fasted for 3 days and 3 nights before she approached the king (Esther 4:16), or a fast which is presumed to have occurred on the 13th of Adar, when the Jews fought a battle against their enemies.[1]It is a common misconception that this fast dates to the time of Esther. Esther 9:31 states "They had established for themselves and their descendants the matters of the fasts and their cry", but this refers instead to the fasts mentioned in Zechariah 8:19.[2]The first mention of the fast of Esther is as a minhag that is referenced in the Gaonic period.[3] A 2010 study examines the origin of the fast and the reason for its arising in the Gaonic period.[4]

The Tosafot, Tosafos or Tosfot (Hebrew: תוספות‎) are medieval commentaries on the Talmud. They take the form of critical and explanatory glosses, printed, in almost all Talmud editions, on the outer margin and opposite Rashi's notes.


 VIDUI In Judaism, confession (Hebrew: וִדּוּי‎, romanized: widduy, viddui) is a step in the process of atonement during which a Jew admits to committing a sin before God. In sins between a Jew and God, the confession must be done without others present (The Talmud calls confession in front of another a show of disrespect). On the other hand, confession pertaining to sins done to another person are permitted to be done publicly, and in fact Maimonides calls such confession "immensely praiseworthy".

Yavne (Hebrew: יַבְנֶה‎) or Yavneh is a city in the Central District of Israel. In many English translations of the Bible, it is known as Jabneh /ˈdʒæbnə/. During Greco-Roman times, it was known as Jamnia (Ancient Greek: Ἰαμνία Iamníā; Latin: Iamnia); to the Crusaders as Ibelin; and before 1948, as Yibna (Arabic: يبنى‎).







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