sabato 28 aprile 2018
da Blackbird Pie, Torta di merli, di RAYMOND CARVER, traduzione Ercole Gudi
da Blackbird Pie, Torta di merli, di RAYMOND CARVER
traduzione Ercole Guidi
vedi http://ercoleguidi.altervista.org/anthology/blackbirdpie.htm
We had each other again, only we had less and less to talk about.
«It happens,» I can hear some wise man saying.
And he's right. «It happens.» But it happened to us.
Caro,
Le cose non vanno bene. Le cose, invero, vanno male. Le cose sono andate di male in peggio. E tu sai di che cosa parlo. Siamo arrivati al capolinea. Tra noi è finita. Eppure, adesso vorrei che avessimo potuto parlarne.
È tanto tempo ormai che non parliamo. «Parliamo» veramente, dico. Anche dopo che eravamo sposati continuavamo a parlare, scambiandoci notizie e pensieri. Quando i bambini erano piccoli, o anche dopo che s'erano fatti grandicelli, trovavamo ancora il tempo di parlare.
S'era fatto più difficile, certo, ma trovavamo il modo. Il tempo lo trovavamo. Lo «inventavamo». Dovevamo aspettare che dormissero, o che uscissero a giocare, o che fossero guardati. Ma il modo lo trovavamo. Certe volte facevamo venire qualcuno a guardarli solo perché «potessimo» parlare. Talvolta passavamo la notte a parlare, parlavamo fin quando spuntava il sole.
Be'. Le cose succedono, lo so. Le cose cambiano. Bill ebbe quel guaio con la polizia e Linda si ritrovò incinta, ecc. I nostri momenti di pace se ne volarono dalla finestra. E a poco a poco le tue responsabilità ti schiacciarono. Il tuo lavoro divenne più importante e il nostro tempo insieme si ridusse al lumicino.
Poi, quando i ragazzi se ne andarono, il tempo per parlare ritornò. Eravamo nuovamente disponibili l'uno per l'altra, solo che avevamo sempre meno di cui parlare. «Capita» mi par di sentir dire da qualche sapientone. E ha ragione. «Capita». Ma è capitato a noi.
Sia come sia, niente colpe. «Niente colpe». Questa lettera non vuole dar colpa a nessuno. «Voglio parlare di noi». Voglio parlare di noi «adesso». Vedi, è arrivato il momento di ammettere che «l'impossibile» è capitato. Di «ammettere» la sconfitta. Di chiamarsi fuori. Di...
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sabato 21 aprile 2018
da Blackbird Pie, Torta di merli, di RAYMOND CARVER
da Blackbird Pie, Torta di merli, di RAYMOND CARVER
Siamo arrivati al capolinea. Tra noi è finita.
Eppure, adesso vorrei che avessimo potuto parlarne.
Dear,
Things are not good. Things, in fact, are bad. Things have gone from bad to worse. And you know what I'm talking about. We've come to the end of the line. It's over with us. Still, I find myself wishing we could have talked about it.
It's been such a long time now since we've talked. I mean really «talked». Even after we were married we used to talk and talk, exchanging news and ideas. When the children were little, or even after they were more grown-up, we still found time to talk.
It was more difficult then, naturally, but we managed. We found time. We «made» time. We'd have to wait until after they were asleep, or else when they were playing outside, or with a sitter. But we managed. Sometimes we'd engage a sitter just so we «could» talk. On occasion we talked the night away, talked until the sun came up.
Well. Things happen, I know. Things change. Bill had that trouble with the police, and Linda found herself pregnant, etc. Our quiet time together flew out the window. And gradually your responsibilities backed up on you. Your work became more important, and our time together was squeezed out.
Then, once the children left home, our time for talking was back. We had each other again, only we had less and less to talk about. «It happens,» I can hear some wise man saying. And he's right. «It happens.» But it happened to us.
In any case, no blame. «No blame.» That's not what this letter is about. «I want to talk about us.» I want to talk about us «now.» The time has come, you see, to admit that «the impossible has happened. To cry «uncle.» To beg off. To...
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sabato 14 aprile 2018
LEO ZANIER, Cartufulas, da “Poesia in viaggio”, Edizioni del Menocchio, 2012
Foto Danilo De Marco |
Cartufulas
Da picjul d’atom mi tocjava
sentât su un scagnut
devant al grum das cartufulas
apena sforcjadas e tratas
dai geis su’na bleòn ta cort
inmȏ plenas di cjera
e umidas di umȏrs
vej di sielgi
chês grandas par sem
e da mangjâ par nȏ
e lassâ chês picjulas
pa’i purcits
gjavadas e metudas tai cos
chês plui grandas
dal puign di gno pari
-no tropas ma a’ndera-
e po dal gnȏ
e po di un mêl
e po di un ȏf
e po e po e po
mi’n restavin dȏs o trê
e no savint ce decidi
las cjalavi scuintiât:
una como un bromp picjul
una como un bromp grant
il purcit al sarés
muart di fan
se me mâri ridint
e alcjant una certa cartufula
no mi ves consolât disint:
“Torna a comencjâ frut
chest ch’a tu jȏts al é
il cunfin tra picjul e grant”
Patate / da piccolo in autunno mi incombeva / seduto su uno sgabello / davanti al mucchio delle patate /appena raccolte e buttate / dalle gerle su un lenzuolo di iuta nel cortile / ancora piene di terra / e umide di umori / dover scegliere / quelle grandi e belle / da seme e da mangiare per noi / e lasciare quelle piccole / per i maiali // tolte e messe nei cesti / quelle più grandi / del pugno di mio padre /- non troppe ma ce n’erano – / e poi del mio / e poi di una mela /e poi di un uovo / e poi e poi e poi / me ne rimanevano due o tre / e non sapendo che decidere / le guardavo mortificato:/ una come una susina piccola / una come una susina grande // il maiale sarebbe morto di fame / se mia madre ridendo / e alzando una certa patata / non mi avesse consolato dicendo:/ “Ricomincia bambino / questo che vedi è / il confine tra piccolo e grande”
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