lunedì 29 agosto 2016

Giacomo Joyce, di James Joyce, traduzione di Ipazia e A Panciroli







                       




Iago mi ha invitato a tradurre da Giacomo Joyce....


Lei non si soffia mai il naso. Una forma di discorso: il meno per il più.


Arrotondata e maturata: arrotondata dal tornio del matrimonio misto e maturata nel vivaio dell'isolamento della sua razza.

Una risaia vicino Vercelli sotto una cremosa foschia d'estate. Le falde del suo spiovente cappello ombreggiano il suo falso sorriso. Le ombre segnano il suo viso falsamente sorridente, colpito dalla calda cremosa luce, grigie ombre lattescenti sotto le mandibole, striature in giallo tuorlo d'uovo sulle umide sopracciglia, umore giallo rancido rintanato nella soffice polpa degli occhi.


Traduzione di Ipazia

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Lei che dona un fiore a mia figlia. Un dono fragile, una fragile donatrice, una fragile ragazza dalle vene blu.

Padova  lontano dal mare. Il silenzioso medio evo,la notte, il buio della storia dormono in  Piazza delle Erbe sotto la luna. La città dorme. Sotto le arcate nelle strade buie vicino al fiume gli occhi delle puttane spiano in cerca di fornicatori. Cinque servizi per cinque franchi. Una oscura onda di sensualità, ancora, ancora, ancora.

Nel buio gli occhi vacillano, i mei occhi vacillano,
vacllano nel buio, amore,
Di nuovo. basta, Un amore oscuro,  un buio  pieno di desiderio. Basta.  Buio.


Crepuscolo. Attraversando la piazza, una sera grigia cade sui vasti pascoli color verde salvia,  scendono silenziosi il tramonto  e la rugiada. Lei segue la madre con impacciata grazia, la giumenta che guida la puledra. Il crepuscolo grigio modella dolcemente le cosce sottili e armoniose,  il docile flessibile  tendineo collo, la testa finemente modellata. Sera, pace, il tramonto della meraviglia....Ehilà! Stalliere! Ehilà!


Traduzione di A. Panciroli

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