sabato 4 gennaio 2014

PETER RILEY, da The Dance at Mociu, ARNOTA, trad. A. Panciroli


Arnota







Dapprima si arriva al paesino di Bistrita, dove termina la strada asfaltata. Un posto squallido, la strada diventa uno sterrato che volta verso un bar  tra gli alberi e di fronte i cancelli di un grande monastero del diciottesimo secolo ora una scuola per bambini disabili mentali. C'è un bus parcheggiato, degli uomini che siedono in cerchio davanti al bar, bambini che vanno e vengono, la luce del sole si disperde tra gli alberi. Per arrivare ad Arnota ( avendo chiesto) dovete avanzare verso il cancello del monastero e voltare a destra , scendendo dietro le case sullo sterrato e le rocce fino al fiumiciattolo che oltrepassa il paese. Uno  spazio aperto ai piedi della montagna disseminato di rami , erba e parti di tubi di cemento. La pista guada il torrente, e c'è un vecchio segnale stradale : "MINISTIRE" con  una freccia dove gira in un fosso boscoso  ed inizia a salire. Continua così per quattro chilometri. Nei versanti più in basso  lungo la strada  ci sono recinti di legno  sotto gli alberi, case di legno più dietro, gente che cammina, c'è sempre gente che cammina lungo le strade, che porta legna ed acqua, che conduce animali da soma, e ragazzi che ci guardano con sorpresa. Poi più ripidamente  nel fianco della montagna gole e cengie, verso le cave. La pavimentazione della strada diventa a malapena guidabile, con grandi buche e solchi, improvvise zone di soffice terreno sabbioso che devono essere affrontate con un certa velocità, i tornanti si susseguono uno dopo l'altro arrampicandosi sul fianco della montagna. per due volte superiamo la curva ed incontriamo mezzi di trasporto che scendono, camion carichi di persone, che avanzano lentamente  verso il paese, perché è già pomeriggio inoltrato.

La pista, e la guida non ne fa cenno, porta dritti nel sito della cava, con una sbarra bianco/rossa a sbarrare la strada. Dalla porta di una baracca di mattoni sbuca un uomo, io grido " Mànastire!" e la barriera viene alzata, con un sorriso. Procediamo in un enorme parcheggio per camion, e ci fermiamo, confusi. L'addetto alla sbarra ci è venuto dietro e ci sta gridando in romeno di girare a sinistra , agitando il braccio sinistro. Alla fine il messaggio ci arriva e individuiamo una ulteriore pista che esce dal lato sinistro del posto, è per davvero una cava enorme, mostruosa. E la pista è più ripida che mai, avanziamo lentamente in prima ridotta su una superficie molto irregolare con pezzi di fondo roccioso esposti, tre ulteriori ripidi tornanti, per arrivare vicino alla vetta della montagna presso una recinzione metallica, con un cancello, con agganciato un vecchio segnale per il monastero. Ci fermiamo, usciamo, e ci guardiamo intorno. La cava si estende sotto di noi, metà di quel lato della montagna scavato, trattori cingolati  si muovono lentamente molto al di sotto. Ma siamo saliti oltre  e l'area della vetta stessa è sufficientemente selvaggia al di là del perimetro del recinto, brulli declivi rocciosi  con folti cespugli  e piccole querce, e fiorellini che spuntano da sfasciumi di rocce rosse, perché è primavera. Il cancello è aperto, lo oltrepassiamo e continuiamo fino ad un parcheggio presso le mura del monastero.




Un monastero abbastanza piccolo, giusto delle mura perimetrali ed un chiesa al centro. Si cammina attraverso il portone e si arriva alla chiesa in mezzo al prato circondato dalle mura. Accanto al portone e di fronte ci sono alloggi nelle mura, ma il resto del perimetro è vuoto. Infatti è così, gli spazi abitabili sono costruiti contro le mura e ne fanno parte, con balconate e finestre che si affacciano all'interno dello spazio recintato. Chiunque viva qui mangia e dorme entro le mura. Una chiesa bianca,stile romanico del 17° secolo. Ci chiniamo per entrare ed è buio, le iconostasi e gli arazzi che brillano appena, figure dipinte sulle pareti, il pavimento ricoperto di tappeti...un vecchio monaco seduto su di una sedia, che non si intromette.






Sventola il permesso di fotografare. Siede e ci guarda, nel caso, per esempio, potessimo cercare di entrare nel santuario.Osserviamo attentamente, i santi dipinti su ogni lato, le icone d'argento, le paradisiache narrazioni incastonate sulla volta annerita, usciamo. Notiamo il portico affrescato e la porta intagliata, e ce ne andiamo in giro per il complesso passeggiando. C'è una zona dove si coltiva verdura sul lato ovest della chiesa, ed una mucca dietro uno steccato di legno. In vari punti pollame indisciplinato. Ad est , dietro l'abside un filo per stendere teso dalla chiesa alla cassetta delle lettere, appesi pochi capi  di biancheria monacale e calzini. Ci sono due gattini che si rincorrono vicino al cancello . Non c'è alcun qualsivoglia segno di un secondo abitante . Fa abbastanza caldo nel tardo pomeriggio, i rumori della cava sono lontani, un vento regolare soffia per tutto il complesso,facendo muovere appena gli alberi fuori.

Dove siamo ora, e come può esistere questo luogo? Il monaco esce e guarda la sua mucca. Non sembra un monaco e tuttavia lo è, vecchio ed un po' curvo, ed indossa un cappello di feltro nero ed un vestito marrone. Non è interessato ai visitatori, ma non ha nulla contro di loro. Si muove lentamente fino al cancello e si ferma accanto ad un piccolo mucchio di tronchi.

E che dire della notte, che dire delle profondità dell'inverno? Chi o cosa arriva sin qui allora? Tra la neve e le bufere ed il buio, gli alberi ghiacciati e spogli nel vento, per vivere tra le mura con una scorta per tre mesi di cibo e combustibile- da soli? è giusto?- una chiesa un guardiano una mucca? Una scrupolosa disciplina giornaliera, standosene soli nella chiesa sulla vetta della montagna con una candela leggendo gli affreschi, pregando. Chi sono allora i visitatori? - volpi, preoccupati novizi che arrivano a piedi da Bistrita,  poiane, orsi? E gli orsi passeggiano lentamente nel mezzo della notte e annusano il cancello chiuso?

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Potete trovare il testo originale qui http://www.shearsman.com/archive/samples/2003/rileyDaMspl.pdf, pagg 17 e segg.


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