Sometimes ago I pointed out
the relationship between cinema and poetry speaking about the movie "Four
weddings and a funeral" during which an actor recited the poem by W. H.
Auden "Funeral Blues".
Today I will speak about
"Invictus" by William Ernest Henley.
The attention of public
focused on this poem when it was recited by Morgan Freeman who played the part
of Nelson Mandela during his 27 years imprisonment in the movie
"Invictus", directed by Clint Eastwood.
This poem was not known and
so was his author. Not even I did know something about them!
So I began to look for some
information about the author of the poem, William Ernest Henley and I found out
that he wrote the poem during his days of hospitalization, maybe in 1875, since
he suffered from tuberculosis of the bone that resulted in the amputation of
his left leg below the knee in 1868-69. Nevertheless he is described as a
great, glowing, massive-shouldered fellow with a big red beard; jovial and with
a roaring laugh.
Furthermore, the poem "Invictus"
is dedicated to Robert Thomas Hamilton Bruce who was an important businessman
and was a partner in a Glasgow firm of flour importers, Bruce and Wilson, as
well as the London bakeries firm J§B Battersea.
Love of the arts was his
great passion and he organized French and Dutch painting loans for the
Edinburgh International Exhibition in 1886.
By 1891 Hamilton Bruce was
making plans to retire and he chose Dornoch, because of his great love for
golf.
His
purpose-built house would display his vast art collection which now included
works by Corot, Rousseau, Rodin, Turner and Matthijss Maris.
One of
his six children, Catherine Anne, wrote: ‘It was a large house standing on that wind
swept field with a wicket gate leading to the links … inside it was rather like
a museum’. ‘My father built another house over the way to prevent villas going
up, and he called it Abden. He started to buy land and went to the council and
managed to get the burn cleaned up’.
Along
the time, Bruce became part of an intimate and influential circle which
included author like R.L. Stevenson and J.M. Barrie. His houses, in both
Edinburgh and Dornoch, became the bases for regular group gatherings and visits
to discuss art and literature. To these visits W.E. Henley was invited too,
introduced by R.L. Stevenson who was a friend of his. Catherine recalled: My mother remembered Henley shaking hot ash off the end of his cigars into delicate japanese bowls while writing The Song of the Sword in the smoking room.'
The Grange is now The Royal Golf Hotel Club.
I have always found out that
R. L. Stevenson was inspired by Robert Henley in his creation of the one-legged
character Long John Silver!
In a letter to Henley after the publication of Treasure Island, Stevenson wrote: ..."I will now make a confession: "It was the sight of your maimed strenght and masterfulness that begot Long John Silver...the idea of the maimed man, ruling and dreaded by the sound, was entirely taken from you."
I hope you will excuse my digressions but I have made them to show you how far the quest for people's story and relationship can bring!
So now we can go back to Invictus and to the fact that this title was given to the poem by the editor Arthur Quiller-Couch when he included it into the Oxford Book of English Verse. This is the text:
Invictus
Out of the night that covers me,
Black as a Pit from pole to pole,
I thank whatever gods may be
For my unconquerable soul.
In the fell clutch of circumstance
I have not winced nor cried aloud,
Under the bludgeonings of chance
My head is bloody, but unbowed.
Beyond this place of wrath and tears
Looms but the horror of the shade,
And yet the menace of the years
Finds, and shall find me, unafraid.
It matters not how strait the gate,
How charged with punishments the scroll,
I am the master of my fate:
I am the captain of my soul.
Già altre volte, in passato, su Ottantanovenuvole,
ho messo in evidenza il nesso forte che può stabilirsi tra cinema e poesia,
come, per esempio, per il film "Quattro matrimoni e un funerale"
durante il quale si recitava la poesia di W.H. Auden "Funeral Blues".
Oggi voglio parlarvi di "Invictus" di
William Ernest Henley.
Su questa poesia
si concentrò l'attenzione del pubblico in occasione della proiezione del
film "Invictus" del 2009, diretto da Clint Eastwood ed ispirato al
romanzo di John Carlin "The Human Factor: Nelson Mandela and the Game that
Changed the World".
Tale poesia fu molto importante per Mandela che la
recitava spesso a se stesso durante i lunghissimi anni di prigionia e pare che
venisse usata, in alcuni suoi versi, per incoraggiare il capitano della squadra
sudafricana di rugby, Francoise Pienaar,
quando nel corso dei mondiali del 1995, irruppero di nuovo sulla scena
internazionale gli Springboks, la nazionale sudafricana di rugby, che, sin
dagli anni Ottanta, era stata esclusa dalle competizioni per via
dell'apartheid.
Io stessa non conoscevo nè la poesia nè il suo
autore.
Facendo un po' di ricerche ho scoperto che William
Ernest Henley scrisse questa poesia su un letto d'ospedale, pare nel 1875, in quanto contrasse la tubercolosi ossea in
giovane età e questo lo portò a convivere con questa malattia per tutta la sua
vita, fino a giungere all'amputazione della parte inferiore della gamba
sinistra. Ciononostante le cronache lo descrivono come un omone barbuto grande
e grosso dalla fluente capigliatura, impetuoso e dalla fragorosa risata.
Un'altra cosa che ho scoperto è che la poesia fu
dedicata ad un tal Robert Thomas Hamilton Bruce ed ho faticato non poco per
scoprire qualcosa su di lui.
Quest'ultimo era un mercante
di farina di Edinburgo che si arricchì moltissimo poichè era socio di una ditta
di importazione di farina di Glasgow, chiamata Bruce and Wilson e di una catena
di panetterie di Londra chiamata J § B Battersea.
L'amore per l'arte e,
soprattutto, per la pittura era la sua grande passione e così cominciò ad
acquistare quadri dai vari mercanti d'arte della zona fino ad acquisire un
ruolo di primo piano nell'organizzare prestiti di dipinti francesi ed olandesi
durante la "Edinburgh International Exhibition" del 1886. La sua
stessa collezione era, a quel tempo, rilevante e questo lo portò a prestare i
suoi quadri persino alla Royal Scottish Academy.
Nel 1891 Hamilton Bruce pensò
di ritirarsi dagli affari e scelse Dornoch, in Scozia, dato il suo grande
entusiasmo per il golf.
Lì fece costruire una grande
casa denominata The Grange, appositamente studiata per ospitare la sua
collezione d'arte che includeva dipinti
di Corot, Rousseau, Rodin, Turner and Matthijss Maris.
Una
dei suoi sei figli, Catherine Anne, scrisse: ‘It was a large house standing on that wind
swept field with a wicket gate leading to the links … inside it was rather like
a museum’. ‘My father built another house over the way to prevent villas going
up, and he called it Abden. He started to buy land and went to the council and
managed to get the burn cleaned up’.
Grazie ai suoi vastissimi
interessi ed alle sue conoscenze sia familiari che d'affari Bruce divenne parte
di un'intima ed influente cerchia che includeva autori come R.L. Stevenson e
J.M. Barrie, l'editore Walter Blaikie ed il critico d'arte William Hole.
Le sue case di Edinburgo e di
Dornoch ospitarono frequenti e regolari riunioni in cui si discuteva d'arte e
di letteratura.
A queste riunioni partecipava
anche Robert Henley che vi fu introdotto da R. L. Stevenson che era un suo
amico. Catherine ricordò: "Mia madre ricordava Henely mentre scuoteva la cenere del suo sigaro in una delicata ceramica giapponese mentre scriveva The Song of the Swor nella sala da fumo."
The Grange è ora il Royal Golf Hotel di Dornoch.
Un'altra cosa che ho scoperto è che R.L. Stevenson si ispirò a Robert Henley per la creazione del personaggio del pirata Long John Silver che non aveva una gamba!
In una lettera a Henley, dopo la pubblicazione de L'isola del Tesoro, Stevenson scrisse: "Devo farti una confessione: è stata la vista della tua pur menomata possenza e del tuo carisma cha ha generato Long John Silver... L'idea dell'uomo sciancato che persuade e terrorizza al solo suono della voce è stata interamente presa da te." Così, tornando
Spero scuserete questa mia lunga digressione ma l'ho fatta per mostrarvi quanto lontano possano portare le ricerche sui personaggi e sui rapporti che tra di loro sono intercorsi.Così, tornando ad Invictus, dovete sapere che la poesia non aveva titolo e che essa fu così intitolata dall'editore Arthur Quiller-Couch quando essa fu inclusa nell'Oxford Book of English Verse.
Invictus
Out of the night that covers me,
Black as a pit from pole to pole,
I thank whatever gods may be
For my unconquerable soul.
In the fell clutch of circumstance
I have not winced nor cried aloud,
Under the bludgeonings of chance
My head is bloody, but unbowed.
Beyond this place of wrath and tears
Looms but the horror of the shade,
And yet the menace of the years
Finds, and shall find me, unafraid.
It matters not how strait the gate,
How charged with punishments the scroll,
I am the master of my fate:
I am the captain of my soul.
Come
vedete dai versi della poesia l'autore mette l'accento sulla dualità spirito/corpo
che va di pari passo con la dualità luce/ombra e sulla possibilità dello
spirito di restare invitto nonostante le avversità della vita.
Il verso
Black as a Pit from pole to pole potrebbe riferirsi al mito di Agarthi, regno
leggendario che si troverebbe al centro della terra e le cui ramificazioni si
estenderebbero dappertutto.
Questa
citazione non è estranea all'ambiente culturale frequentato dal poeta Henley
che era amico anche di William Butler Yeats le cui tematiche e costruzioni
poetiche sono fortemente permeate di esoterismo.
Da notare
anche il verso I thank whatever gods may be dove si citano gli dèi non il dio
unico delle religioni monoteiste e questo ben si collega all'impronta esoterica
che la poesia presenta al suo interno.
Lo schema
del componimento è ABAB che dà al testo un'andatura accelerata, accentuata
anche dalla presenza di molte allitterazioni all'interno dei versi.
Tale
andatura potrebbe voler ricordare la quotidiana battaglia tra spirito e
materia, tra luce e ombra.
La scelta
lessicale, inoltre, dà un tono fortemente melodrammatico all'intero
componimento ma forse, proprio per questo motivo, Nelson Mandela preferì questo
componimento ad altri per darsi forza durante gli interminabili anni della sua
prigionia.
Io ho
tradotto la poesia ed ho incontrato innumerevoli difficoltà in quanto esse , a
prima vista, non apparivano affatto.
Vi
propongo due traduzioni, una in verso libero una in verso ABAB.
Vediamo
che ne dice Jago che è sempre, a ragion veduta, severo nei giudizi.
INVICTUS
(To Robert Thomas Hamilton Bruce)
di William Ernest
Henley (Gloucester,1849-Woking,
1903)
Traduzioni di Marilia Aricò
Dal profondo della notte che mi
avvolge,
Nera come l'abisso da polo a polo,
Io ringrazio tutti gli dèi
Per l'indomabile anima mia.
Nella stretta mortale degli eventi
Non arretrai nè strepitai.
Sotto i colpi ferali della sorte
Il mio capo sanguinò, ma non si piegò.
Oltre questo luogo d'ira e pianto
Soltanto l'orrore dell'ombra si
profila,
E pur tuttavia la minaccia degli anni
Mi trova e troverà senza paura.
Non importa quanto stretto sia il
passaggio,
Quanto duro sia il mio castigo,
Io sono il padrone del mio destino:
Io sono il capitano dell'anima mia.
TRADUZIONE
IN ABAB
Dal profondo della notte che mi
avvolge,
Come la gola da polo a polo nera,
Io ringrazio tutti gli dèi nelle lor
dimore
Per l'indomabile anima mia serena.
Nella stretta mortale degli eventi
Non ho arretrato nè strepitato.
Sotto i colpi della sorte violenti
Il mio capo ha sanguinato, ma non si
è piegato.
Oltre questo luogo d'ira e affanni
Soltanto l'orrore dell'Ombra si
staglia,
E pur tuttavia la minaccia degli anni
Mi trova e troverà senza falla.
Non importa quanto il passaggio sia
serrato,
Quanto dura di castighi la vita mia,
Io sono il padrone del mio fato:
Io sono il capitano dell'anima mia.
P.S.: Ho fatto leggere la poesia ad
una mia amica e lei ha sbottato: "Ma a quale persona sana di mente salterebbe
in testa di scrivere: "Io sono il padrone del mio destino?"
Voi che ne pensate?