mercoledì 21 agosto 2019

HORCYNUS ORCA, di Stefano D' Arrigo, don Ferdinando Currò inteso Noè


HORCYNUS ORCA non è un libro, o meglio, non è solo un libro: è lo strittu, è scill'e cariddi, è vita e, inevitabilmente, morte. E la vita, come lo strittu, è difficile e misteriosa, solcata da correnti impreviste, da maree irresistibili, abitata da mostri subacquei, sconvolta dallo scirocco africano,
In una delle molte storie che vanno a comporre Horcynus si staglia la ieratica figura di don Ferdinando Currò inteso Noè, vecchio , vecchissimo pescatore cariddino , eroico salvatore di molte vite durante il terremoto e maremoto di Messina. Esperto conoscitore di pescispada, di venti , di mari, ormai fattosi vecchio vive solo per riassaporare l'odore e il sapore del suo mare. A lui i pescatori di Cariddi si rivolgono come ad un oracolo di sale per conoscere i giorni migliori per la caccia al pescespada.
 Una figura alla Aureliano Buendìa dei Cento giorni di solitudine di marquesiana memoria...



 Al chiuso Noè moriva: doveva odorare il mare vivo vivo, sennò moriva. Lo dovevano mettere all' aperto in ogni stagione e se diluviava, lo dovevano mettere almeno dietro l'uscio, nel vano della porta mezz' aperta. la più parte delle notti d'estate non voleva essere smosso di dove stava, tuttalpiù, sua nipote Catina, se sentiva l'aria rugiadosa, gli metteva sulle spalle una coperta, perché la mattina non si trovasse bagnato sino alle ossa dall'acquazzina del sereno.
  ....Aveva più di ottantanni e pesava più di un cantàro; era staturatissimo e quanto a forza, sino all' ultimo che si era retto in piedi, se si piantava in mezzo a una palamitara, gli avrebbero potuto sciogliere sulle spalle la velatura, senza che ci fosse gran differenza tra l'albero e lui.


 ... Da dieci, quindici anni, come l' avesse ormai incorporata, era così gonfio di nefrite da non poter poggiare i piedi per terra, quasi cieco e sordo, era ormai una massa di vecchia carne salata che si asciugava e seccava al sole. La salsedine di cui si era imbevuto in tanti anni, gli risaliva a galla svaporando sulla faccia, sulle mani, sui piedi: il sale si spolverava sulla sua pelle, specie nell' orbita degli occhi, fra dito e dito, dietro e dentro gli orecchi, ed era come se quel poco di sale che gettava ogni giorno, lo conservasse imbalsamato.

 ... Difatti l'inquietamento benigno di don Ferdinando significava che quella notte  gli era arrivata una prima avvisaglia di scirocco, di quello fatto apposita per incotturiare d'amore e chiamare al suo destino lo spada, e significava che il pulcinella era per via, e assai vicino pure, forse alle Isole, sempre più mammalucchito dal levante e ponente della sua fatalità: perché, se Ferdinando Currò dava quei segni, si spuliciava tutto come se uscisse dal letargo, ci potevano puntare che quello era scirocco a doppio gusto, di levante e di ponente.
  Lo scirocco non è vento fedele di carattere, vento sempre a una faccia  e sempre netto di faccia, non è, tanto per dire, greco o maestro. che persino un muccuso  alla fine ci sa leggere. Lo scirocco è vento africanazzo su cui non si può fare il minimo assegnamento perché il nome è uno e le razze sono tante....
  ...Per questo ci vuole l'indovino, ci vogliono vecchi che hanno rughe di ottantanni, pieghe strette e profonde come nascondigli nella memoria, per cui riescono a calamitarlo e a spremerne il succo, biondo e nero, perché i vecchi pellisquadre, i mummioni seduti tutto il giorno in faccia al mare, lo scirocco  se lo desiderano come il trinciato forte,, non possono più farne a meno di quel veleno, che prima li risuscita, li ringiovanisce magari di dieci, ventanni, , e poi li lascia più morti di prima.





















Fatalmente sorgeva alla mente il confronto  con quell'Ercole mustacciuto, sulla quarantina, che nel Ventottodicembre lottava con cavalloni alti come montagne, che fra rimbombi e boati gli rovinanavano sopra, per strappargli i muccuselli che salvava a quattro a quattro, a intere bracciate, aggrappati al suo collo, tanti passerelli sdiluviati che posava sopra i rami delle limonare e delle olivare, per le rasole di Spartà dove si potevno dire al sicuro: tanti, che a contarli uno per uno e ritrovarli oggi pellisquadre e padri di famiglia, tutti i muccusi che salvò allora, si poteva dire veramente che don Ferdinando Currò aveva salvato la razza cariddota., 
Il maremoto si ruppe le corna conlui. Il mare si alzava impennandosi sino all' altezza della rocca di Scilla e delle volte, quel cavallone pazzo, schiumante, si ergeva sino all' Aspromonte, eruttando lassòpra grandi masse di lava argentate che erano interi banchi di cicirella sollevati dal' abisso,e poi di lassòpra, con spaventevole scotrumbo, si precipitava sopra marine e alture, sommergendo villaggi  e paesi: Ferdinando scompariva ogni volta alla vista, ma ogni volta, schiumando di rabbia, il cavallone tempestoso rinculava dai piedi di quel gigantomo fatato, come dal tronco di un albero incrollabile, dai rami carichi di muccuselli, stretti abbracciati aggrappati, che vi avevano trovato scampo.
  E ora eccolo là, quell' Ercole, là, sulla sedia, che si sbavava per una stampa di scirocco: col cavallone pazzo della vecchiaia, nemmeno lui poteva farci nulla.

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