martedì 8 marzo 2011

di come Iago insinua la gelosia in Otello

 Come Iago ,con un magico gioco di prestigio, con parole velenose di miele, riesce ad insinuare  in Otello una assurda gelosia.
Bravo Iago!!




Iago ed Otello



Io odio il Moro; e si crede, di fuori,
ch’egli abbia fatto pure le mie veci
nel mio letto... Non so se ciò sia vero;
ma il solo sospettarlo mi fa agire
contro di lui come fosse certezza.
Egli mi stima molto; tanto meglio
potrà perciò operare su di lui
il mio proposito... Cassio è un bell’uomo...
Vediamo... escogitare la maniera
d’ottenere il suo posto…
Come?... Ecco: passato un certo tempo,
avvelenare l’orecchio d’Otello
34
pian piano insinuandogli che Cassio
è troppo in confidenza con sua moglie.
La sua prestanza, i suoi modi galanti
son fatti apposta per destar sospetto,
per trascinar le donne all’adulterio.
Il Moro è d’indole franca ed aperta,
tanto da reputar uomini onesti
quelli che tali son solo di fuori;
si lascerà menare per il naso
con la docilità d’un somarello...
Ecco, ci sono. Il mio disegno è fatto.
Ora tocca all’inferno ed alla notte
portare questo parto mostruoso
alla luce del mondo.
(Esce)

Iago parla di Cassio e Desdemona: 

Iago e Desdemona...


...Oh, la prende per mano. Bene, bene!
E le sussurra qualcosa all’orecchio...
Con un’esile rete come questa
saprò ben impigliare un calabrone
come Cassio... Sì, sì, falle un sorriso!
E poi un altro... T’impastoierò
nei ceppi del tuo stesso corteggiare.
Hai detto bene, son come tu dici;
io, e se questi tuoi divertimenti
ti costeranno la luogotenenza
assai meglio per te sarebbe stato
che ti fossi baciato meno spesso
le punte delle tue tre dita unite,
come vedo che fai ancora adesso
per darti l’aria di bel damerino.
Ah bene!... Un baciamano ed un inchino!...
Eccellente! Così!... Bene davvero!
E ancora le tre dita sulle labbra..


Il Moro, pur s’io non so sopportarlo,
è di natura nobile, costante,
affettuosa, e so già che per Desdemona
si scoprirà un carissimo marito.
Ma debbo confessare che anch’io l’amo,
e non per pura e semplice lussuria,
benché mi debba riconoscer reo
d’un non minor peccato, ma a ciò spinto
in parte per saziar la mia vendetta;
perché sospetto che l’ingordo Moro
sia montato a inforcare la mia sella:
un pensiero che mi corrode dentro
come un veleno, ed a placare il quale
altro non so che dargli il contraccambio
a pareggiar con lui moglie per moglie;
o, se ciò non dovesse riuscirmi,
iniettargli nell’animo
una dose talmente virulenta
di gelosia, che la ragione sua
non basti più a curare.

 io verserò nell’orecchio del Moro
questa pestilenziale insinuazione:
ch’ella gli chiede il ritorno di Cassio
per secondare la propria libidine;
e quanto più d’ardore
porrà ad intercedere per lui
tanto più fortemente scrollerà
la propria stima nel cuore del Moro.
Avrò così mutato in nera pece
tutto il candore della sua virtù,
ed avrò fatto della sua bontà
la rete in cui avvilupparli tutti.


Qui Iago supera se stesso:

 Mio signore...
OTELLO - Che mi dicevi, Jago?
JAGO - Quando corteggiavate la signora,
Cassio sapeva del vostro rapporto?
OTELLO - Sì, dal primo momento, e sempre in seguito.
Ma perché me lo chiedi?
JAGO - Mah, così...
Inseguivo soltanto un mio pensiero.
Niente di male.
OTELLO - Che pensiero, Jago?
JAGO - Che non l’avesse conosciuta prima.
OTELLO - Oh, sì, certo! E faceva molto spesso
la spola tra noi due.
JAGO - Ah, veramente?
OTELLO - Veramente, sì, certo. Che ci vedi?
Forse che Cassio non è un uomo onesto?
JAGO - Onesto, mio signore?...
OTELLO - Onesto! Onesto!
JAGO - Per quello ch’io ne so...
OTELLO - Perché? Che pensi?
JAGO - Pensare, mio signore...
OTELLO - “Pensare, mio signore...” E dài, perdio,
che mi fa l’eco, come avesse in corpo
chi lo sa quale mostro,
troppo orrendo per essere sputato...
Tu hai qualcosa in testa...
Poc’anzi t’ho sentito cincischiare
in mezzo ai denti: “Ah, questo non mi piace...”
nel momento che abbiamo scorto Cassio.

Otello, l'odiato Moro




 Che cosa ti faceva bofonchiare:
“Non mi piace”? Poi, quando t’ho risposto
ch’egli era nelle mie segrete cose
per tutto il tempo in cui l’ho corteggiata,
t’ho sentito esclamare: “Ah, veramente?”,
ed hai contratto e corrugato il viso
come se nascondessi nel cervello
chi sa quale terribile pensiero...
Se m’ami, svelami quel tuo pensiero.
JAGO - Signore, voi sapete quanto io v’ami.
OTELLO - Lo so, Jago. Ma proprio perché so
quanto onesto tu sei e affezionato,
e quanto bene pesi le parole
prima di darvi fiato, questi indugi
nel tuo parlare mi fanno paura.
In bocca a un falso e sleale briccone
certe cose son trucchi abituali,
ma in bocca a un uomo schietto come te
sono lontane esplosioni del cuore
che l’emozione non sa controllare.
JAGO - Quanto a Cassio, mi sento di giurare
di ritenerlo onesto.
OTELLO - Anch’io lo credo.
JAGO - L’uomo dovrebbe sempre essere dentro
quel che appare di fuori; e chi non l’è
così potesse non sembrar più uomo!
OTELLO - Hai ben ragione: gli uomini
dovrebbero esser sempre ciò che sembrano.
JAGO - Perciò reputo Cassio un uomo onesto.
OTELLO - Già, ma in quello che dici c’è dell’altro:
ed io ti prego, Jago, di parlarmi,
come a te stesso, con i tuoi pensieri
quando li vai rimuginando dentro
ed esprimi, parlando con te stesso,
i peggiori coi termini peggiori.
JAGO - Mio buon signore, vogliate scusarmi:
ancor ch’io sia tenuto al mio dovere
di prestarvi la più piena obbedienza,
non mi ritengo tuttavia tenuto
a far cosa da cui perfin gli schiavi
sono esentati... Dirvi i miei pensieri?
Poniamo ch’essi siano bassi e falsi:
qual è il palazzo dove qualche volta
74
non s’introducono creature turpi?
Qual petto è così puro
che non vi tenga udienza di giustizia
una qualche supposizione immonda
sedendo a fianco a fianco
con le meditazioni più legittime?
OTELLO - Jago, tu trami ai danni d’un amico
se, sapendo che ha ricevuto un torto,
fai il suo orecchio estraneo ai tuoi pensieri.
JAGO - No, no, vi supplico... Forse m’inganno
nei miei sospetti; ché, ve lo confesso,
è una peste di questo mio carattere
andar spiando le altrui malefatte;
e non di rado la mia gelosia
mi fa dar corpo a colpe inesistenti.
Che la vostra saggezza tuttavia
non voglia tener conto dei pensieri
d’uno che pensa sempre così male;
né vogliate crearvi alcun tormento
delle mie vaghe e strambe osservazioni.
Non gioverebbe né alla vostra quiete
né al vostro bene, né sarebbe onesto
e dignitoso e saggio da mia parte
farvi conoscere quello che penso.
OTELLO - Che intendi dire?
JAGO - Mio caro signore,
il buon nome nell’uomo e nella donna,
è il più prezioso gioiello nell’anima.
Chi mi ruba la borsa, ruba soldi;
è qualche cosa e nulla; erano miei,
ed ora son di chi me li ha rubati,
come furono prima d’altri mille.
Ma chi mi porta via il mio buon nome
mi ruba cosa che, senza arricchirlo,
fa di me veramente un miserabile.
OTELLO - Perdio, voglio sapere quel che pensi!
JAGO - Non ci riuscirete,
nemmeno a spremervi in mano il mio cuore;
né io lo voglio, finché è in mia custodia.
OTELLO - Ah!
JAGO - Guardatevi bene, mio signore
dal cader preda della gelosia:
è il mostro verde-occhiuto


che si beffa del cibo onde si pasce.(65)
Vive felice l’uomo che, cornuto
e consapevole del suo destino,
più non ama colei che lo tradisce;
ma che istanti d’inferno
deve contar colui che adora, e dubita
e sospetta, e si strugge pur d’amore!
OTELLO - Oh, miseria!
JAGO - Chi è povero e contento
del proprio stato è certo ricco assai;
ma quando la ricchezza è illimitata,
è triste e povera come l’inverno,
se chi ce l’ha vive continuamente
nel timore che quella gli finisca.
Buon Dio, preserva dalla gelosia
tutte l’anime della mia tribù!(66)
OTELLO - Che cos’è che ti fa parlar così?
Credi tu ch’io sarei disposto a vivere
tutta una vita nella gelosia
inseguendo un sospetto dopo l’altro,
come le fasi della luna? No!
Trovarsi a dubitare anche una volta,
è già aver deciso.
Il giorno che terrò occupata l’anima
con illazioni gonfie ed insufflate
come quelle che tu facevi dianzi
considerami pure un imbecille.(67)
Non può certo pensar d’ingelosirmi
chi venga a dirmi che mia moglie è bella,
che ama il cibo e la buona brigata,
che è sciolta nel parlare, e canta e suona,
e balla bene: là dov’è virtù
queste cose son tanto più virtuose;
né trarrò io dai miei deboli meriti
il minimo timore ed il sospetto
di poter essere da lei tradito:
perch’ella aveva occhi per vedere
quando m’ha scelto, eppure ha scelto me...
No, Jago, avanti di covar sospetti,
voglio vedere; e quando ho sospettato,
voglio la prova. E se la prova c’è,
allora non rimane altro che questo:
via d’un sol colpo amore e gelosia!
JAGO - Ne sono lieto; perché avrò ragione
di dimostrarvi, con più franco spirito,
i miei sensi d’amore e di rispetto;
visto perciò che voi me l’imponete,
sentite bene quello che vi dico.
Non parlo ancor di prove,
però tenete d’occhio vostra moglie:
osservatela quando sta con Cassio,
con occhio né geloso né sicuro...
Non vorrei che la schietta e generosa
vostra natura rimanga ingannata
per la sua stessa generosità.
Guardatevi: gli umori delle donne
del mio paese li conosco bene;
a Venezia esse lasciano spiare
dal cielo i lor capricci e ghiribizzi
che non osan mostrare ai loro mariti;
per esse la miglior moralità
non consiste nel fare qualche cosa,
ma nel farla e saper come nasconderla.
OTELLO - Dici davvero, Jago?
JAGO - Sposando voi ha ingannato suo padre;
e quando più pareva che tremasse
e che temesse le vostre sembianze,
tanto più n’era invece innamorata.
OTELLO - Così è stato, difatti.
JAGO - Ebbene, allora concludete voi:
una che così giovane com’è
ha saputo sì bene simulare
da chiuder così forte gli occhi al padre(68)
da fargli almanaccare di magia...
Ma faccio male a dirvi queste cose,
e vi domando umilmente perdono:
è il troppo amore che mi fa parlare.
OTELLO - Anzi, te ne sarò per sempre grato.


M’accorgo tuttavia che v’ho recato
un certo turbamento.
OTELLO - Niente affatto.
JAGO - In coscienza, mi par proprio di sì.
Spero vogliate prender quel che ho detto
come dettato solo dall’affetto...
E tuttavia vi vedo un po’ sconvolto...
Vi prego, non forzate il mio discorso
fino a portarlo a più lascivi sbocchi,
e non gli attribuite maggior peso
d’un mero sospettare...
OTELLO - Come vuoi...
JAGO - Perché se lo faceste, il mio parlare
scadrebbe a sì meschino risultato
cui certo i miei pensieri non miravano.
Cassio è mio degno amico... Ma... signore,
io vi vedo sconvolto...
OTELLO - No... non tanto...
Io non posso pensare di Desdemona
ch’ella sia men che onesta.
JAGO - E tale viva e si conservi a lungo!
E voi a lungo in codesta certezza!
OTELLO - E tuttavia come può la natura
errare da se stessa...
JAGO - Oh, questo è il punto!
A parlar chiaro con vossignoria:
non curarsi di tutti i bei partiti
che le furono offerti:
tutti giovani del suo stesso clima,
del suo stesso colore e condizione:
affinità cui la natura inclina
come vediamo in ogni cosa... Puah!...
È facile fiutare in tutto questo
un istinto malsano, un qualche cosa
che lascia intendere turpe squilibrio,
pensieri e sentimenti innaturali...
Ma perdonatemi: dicendo questo
non intendevo punto riferirmi
in maniera particolare a lei
se pure mi sia lecito temere
che una come lei da un giorno all’altro
tornando a suo miglior discernimento
possa arrivare a confrontar la vostra
con altre forme del vostro paese,
78
e forse anche pentirsi.
OTELLO -

Se scoprirai di più, fammi sapere;
e metti sull’avviso anche tua moglie:
che la osservi da presso. Adesso lasciami.
JAGO - Vado, signore, con licenza vostra.
(Esce)
OTELLO - Perché mi son sposato?...
Quest’onesto individuo senza dubbio
sa e vede assai più che non riveli.
JAGO - (Rientrando)
Mio signore, lasciate ch’io vi preghi
di non più investigar su questa cosa:
lasciamo tempo al tempo.
Benché sia opportuno e conveniente
che Cassio sia rimesso al proprio posto
che ricopre con tanta competenza,
nondimeno, se non vi dispiacesse
tenervelo lontano ancor per poco
potreste meglio valutare l’uomo
ed osservare come si comporta;
e notare altresì se vostra moglie
insista sempre per il suo richiamo
con istanze pressanti e appassionate:
da ciò potrete arguire molte cose.
Nel frattempo però considerate
come eccessivi questi miei timori
- perché è così ch’io stesso li considero -
e ritenete lei, ve ne scongiuro,
immune da ogni colpa.
OTELLO - Non temere,
saprò ben governar la mia condotta.
JAGO - Bene. Di nuovo, con vostra licenza.
(Esce)
OTELLO - Costui è onesto fino all’incredibile;
e conosce con spirito sagace,
tutte le facce dell’umano agire.
Se mai venissi ad avere la prova
ch’ella è una selvatica falchetta,(69

benché le care fibre del mio cuore(70)
siano le sue pastoie,
io con un fischio le darei l’aire
e poi la lascerei volar col vento(71)
a cercarsene altrove la sua preda.
Forse perché son nero
e son sprovvisto dei melliflui doni
del parlare fiorito e infiocchettato
di certi smidollati zerbinotti,
o forse perché già vo declinando
nella valle degli anni (ma non troppo),
io l’ho perduta; io sono ingannato,
e mia unica consolazione
sarà di detestarla, d’ora innanzi...
Il matrimonio... che maledizione!
Che sia possibile chiamare nostre
codeste delicate creature,
e non i loro segreti appetiti!
Vorrei piuttosto diventare un rospo
e viver dei miasmi d’una fogna
che tenere con me per l’uso altrui
un solo spizzo della cosa amata.
Eppure è questa la peste dei grandi:
essere in ciò meno privilegiati
dei piccoli: un destino inevitabile
come la morte; una peste forcuta(72)
che ci viene assegnata dal destino
nell’atto stesso in cui veniamo al mondo.
Ma eccola che viene.
Entrano DESDEMONA e EMILIA
Se costei è infedele,
oh!, allora il cielo si beffa da sé.
Non voglio crederlo!

Iago ...si sbuccia una mela, soddisfatto.

3 commenti :

  1. Uno Iago diabolico e un Otello angelico, preda facile dei suoi giri di parole, di insinuazioni subdole, di dubbi seminati non a caso.
    Così ha voluto il nostro William, magari ispirato proprio da un personaggio affine ad Iago.
    Una lettura da approfondire, grazie Ales.
    Carla

    RispondiElimina
  2. ma forse è in realtà Iago ad essere geloso:


    " è il troppo amore che mi fa parlare."

    E' il troppo amore...

    RispondiElimina
  3. No, non lo credo.
    "Io odio il Moro; e si crede, di fuori,
    ch’egli abbia fatto pure le mie veci
    nel mio letto... Non so se ciò sia vero;
    ma il solo sospettarlo mi fa agire
    contro di lui come fosse certezza."
    Dovendo basarmi su questo e su
    "Ma chi mi porta via il mio buon nome
    mi ruba cosa che, senza arricchirlo,
    fa di me veramente un miserabile."
    direi che è la paura del diverso.
    Il diverso che affascina che lo attrae, forse anche e suo malgrado.
    Ha bisogno che soffra perchè lo raggiunga nella sua sofferenza.
    Ma, come dicevo, "forse".
    carla

    RispondiElimina