I call. You're stone.
One day you'll look and find I'm gone.
You sold me to an old man, father.
May God destroy your home, I was your daughter.
Making love to an old man
is like fucking a shriveled cornstalk blackened by mold.
Your eyes aren't eyes, They're bees.
I can find no cure for their sting.
Thanks to Eliza Griswold who risked her life for poetry's sake. She went to Afghanistan, dressed in burqa, and sat and listened to these poems recited and sung by Afghan women.
Nella
cultura afghana la poesia è venerata, in particolare, le forme letterarie che
derivano dal Persiano o dall’Arabo. Ma il poema qui sopra è un distico popolare
– un landay – un
orale e spesso anonimo piccolo verso tratto da una canzone creata da e per le
persone analfabete: le più di venti milioni di donne Pashtun che valicano
incessantemente il confine tra Afghanistan e Pakistan. Tradizionalmente, i
landays sono cantati ad alta voce, spesso accompagnati dal suono di un tamburo,
che, insieme ad altri tipi di musica, fu bandito dai Talebani dal 1996 al 2001
e che, in alcuni luoghi, lo è ancora.
Un landay
ha soltanto alcune caratteristiche formali. Ciascuno di essi ha ventidue
sillabe: nove nel primo verso, tredici nel secondo. Esso termina con il suono
“ma” o “na”. Alcune volte il componimento è in rima ma il più delle volte non
lo è. In Pashto, esso è cadenzato internamente di parola in parola in una sorta
di ninnananna a due versi che cela la
crudezza del contenuto, che si distingue non soltanto per la sua bellezza, oscenità
e arguzia, ma anche per la particolare capacità di articolare verità comuni
circa guerra, separazioni, patria, dolore o amore. All’interno di questi cinque
argomenti, i distici esprimono una furia collettiva, un lamento, una leggerezza
faceta, un desiderio per la fine della separazione, una chiamata alle armi, che
frustrano qualsiasi facile immagine di donna pashtun come nient’altro che un
muto fantasma sepolto in un burqa blu.
I landays
ebbero la loro origine tra nomadi e contadini. Essi erano cantati attorno ad un
fuoco, dopo un giorno tra i campi oppure ad un matrimonio. Più di tre
decenni di guerra hanno indebolito una
cultura e sparpagliato milioni di persone che non possono far ritorno ai loro
villaggi. Il conflitto ha anche contribuito alla globalizzazione. Ora le
persone condividono i landays virtualmente via Internet, Facebook, messaggi di
testo e radio. Non sono soltanto gli
argomenti a renderli rischiosi. Essi sono, per la maggior parte, cantati e
cantare è strettamente collegato alla licenziosità nella coscienza afghana. Le
donne che cantano sono vedute come prostitute. Le donne rimediano a questo
cantando in segreto, soltanto al cospetto dei parenti più stretti o di una
donna straniera che non sembri pericolosa. Di solito in un villaggio o in una
famiglia c’è sempre una donna che sia più brava delle altre nel cantare i
landays ma gli uomini non hanno alcuna idea di chi essa sia.
Al giorno
d’oggi, per le donne afghane, i programmi di poesia in radio sono una delle
forme d’accesso consentite al mondo esterno. Questo fu il caso di Rahila Muska,
che apprese dell’esistenza di un gruppo letterario femminile chiamato Mirman
Baheer dalla radio. Il gruppo si riunisce a Kabul ogni sabato pomeriggio e conduce, inoltre, un
programma telefonico per le ragazze delle province, come Muska, che chiamano
per parlare con le altre poetesse o per declamare al telefono loro
componimenti. Muska, che significa sorridi
in Pashto, chiamava così frequentemente ed era così talentuosa che divenne la
beniamina del gruppo.
Un
giorno, nella primavera del 2010, Muska telefonò alle sue amiche poetesse da un
letto d’ospedale nella città di Kandahar per dir loro che si era data alle
fiamme per protesta. I suoi fratelli l’avevano selvaggiamente picchiata dopo
aver scoperto i suoi componimenti poetici. La poesia, specialmente quella
d’amore, è vietata alle donne afghane: essa presuppone disonore e libero
arbitrio.
Subito
dopo, Muska morì.
Dopo aver saputo della morte di Muska, Elisa Griswold andò in Afghanistan accompagnata dal fotografo Seamus Murphy dietro incarico del New York Times Magazine al fine di recuperare più notizie possibili sulla breve vita di Muska.
Trovare la sua famiglia sembrava un compito quasi impossibile - una poetessa adolescente che scriveva sotto pseudonimo in una zona di guerra - ma alla fine, con l'aiuto di una organizzazione Pashtun molto efficiente chiamata wadan (Welfare Association for the Development of Afghanistan) Elisa e Seamus riuscirono a trovare il suo villaggio ed i suoi genitori.
Essi scoprirono che il suo vero nome era Zarmina e che la sua storia non era legata soltanto alla poesia. Essa era una storia d'amore finita male.
Promessa fin da bambina a suo cugino, le era stato proibito di sposarlo, poichè, in seguito alla morte del padre, egli non poteva affrontare il volver, il prezzo da pagare per poterla sposare. Il suo amore era maledetto ed il suo futuro incerto.
La morte divenne l'unico controllo che essa potesse esercitare sulla sua vita.
Spero tanto che per tutte queste piccole donne si apra presto una stagione di speranza nel futuro e che non sia più soltanto la morte il controllo che esse possono esercitare sulla loro vita.
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