martedì 23 luglio 2019

NUEVE NOCHES CON AMADA LUNA, di Leonardo Padura, traduzione Alessandro Panciroli



NUEVE NOCHES CON AMADA LUNA


NINE NIGHTS WITH AMADA LUNA, trad. di Cristina de La Torre



                               NOVE NOTTI CON AMADA LUNA


All'inizio fu la passione

  La zona della Rampa, con i suoi cinema, night club e ristoranti si era convertita nel cuore dove palpitava la vita notturna della città, ed io, giovane e provinciale, cattolico e rivoluzionario, malvestito e arrivato solo di recente a L'Avana per iscrivermi alla Università, iniziai a passare le mie solitarie notti del sabato in affascinanti passeggiate avanti e indietro per quello splendido tratto di strada, stretto tra il mare infinito e la gelateria Coppelia appena aperta. Salivo e scendevo per la Rampa in un'estasi permanente, impegnato a riempirmi i polmoni e gli occhi con quel mondo magnetico di colori al neon e di automobili nord americane ancora lucenti, delle prime minigonne e dei primi hippy tropicali e sottosviluppati che proliferavano nell'isola, e delle ultime vestigia del glamour brillante degli anni 50, già in aperta ritirata di fronte all'avanzata della incontenibile e vigorosa propaganda socialista, con le sue esaltate parole d'ordine cariche di rosse e persistenti chiamate alla lotta e alla vittoria.
 Voglio ricordare che fu proprio durante una delle mie prime passeggiate per la Rampa, allucinato da tanto incanto e tante promesse di una vita che non conoscevo che vidi, giunto alla scalinata che portava verso le penombre del night club La Gruta, un manifesto protetto da un vetro , dal quale mi
guardò in modo perverso Amada Luna, " La Dama Triste del Bolero". Una invadente attrazione, che mi nasceva nello stomaco e si allargava incontenibile, per pulsare in ciascun angolo del corpo,mi obbligò a fermarmi e a contemplare quel volto soavemente abbronzato di una donna sulla trentina, in cui si confondevano i lineamenti  di mille razze mescolate per propiziare il miracolo degli occhi lievemente a mandorla e pieni di orgoglio, una bocca dalle rosse labbra carnose dalle quali pendeva un sigaro fumante, e dei capelli forse un po' troppo biondi, che cadevano in onde furiose sule spalle morbide e promettenti.

Il manifesto avvisava che Amada Luna cantava a La Gruta tutte le notti, da martedì a domenica, sempre alle undici; però mentre contemplavo quel viso singolare e lascivo, non pensavo affatto alla possibilità di entrare in quel luogo forse peccaminoso, esagerato, sofisticato e  lontano da tutte le aspettative del giovane candido-rivoluzionario,cattolico e povero, già lo dissi, che ero allora .Voglio tuttavia pensare che, molto prima di vedere la foto - o che la foto vedesse me -, il destino sembrava aver preparato quell'incontro, infatti solo così è possibile che da quella notte del 1967 il viso di Amada Luna si convertisse in una delle mie ossessioni di tutta una vita; e anche ora, mentre la evoco,ascoltando un vecchio bolero cantato da Bola de Nieve ( famoso cantante cubano di bolero, così chiamato per la sua tipica faccia, tonda e nera, NdT)- e provo nel sentirlo  un  dolore pungente sula pelle -mi giro a guardare quelle foto in cui malgrado i disastri e gli anni non riesco a trovare tracce della tristezza  straziante a cui doveva il suo nome d'arte, per quanto di nuovo mi convinco che una forza tragica e superiore ci costrinse ad  incontrarci e che doveva essere già scritto che tutto doveva accadere, nel modo devastante che accadde.
  Da quel momento le mie passeggiate per la Rampa, il sabato o qualsiasi altro giorno della settimana, da solo o insieme ai mie nuovi compagni di classe, ebbero sempre un minuto per, davanti alla immagine della Dama Triste del Bolero, cercare di saziarmi dei misteri che quel volto prigioniero della foto mi proponeva e cominciare a sognare il momento in cui avrei potuto vedere il corpo in carne ed ossa di quella donna magnetica. Nel frattempo, nella mia camera dell'ostello universitario, iniziavo senza eccessivo entusiasmo il mio addestramento sentimentale di ascoltare i programmi radio dedicati al bolero, senza però che quella musica troppo mielosa e piena di lamenti riuscisse a convincermi dei suoi pregi né a comunicarmi la sua profonda malinconia, ma ancora  non sapevo che il vero apprezzamento di un bolero germoglia sopra le amare esperienze della vita.
 Tutto era pronto per quel 13 dicembre del 1967, quando compii 18 anni, invece di un profumo o di una camicia - di cui tanto avrei avuto bisogno - chiesi a mio padre e agli zii di regalarmi denaro. Il mio piano  era stato preparato troppo bene per essere così facile: quella notte sarei andato alla Gruta, per vedere finalmente Amada Luna.

Come era da aspettarsi, dovetti esibire il mio tesserino universitario per dimostrare di aver compiuto 18 anni e poter entrare  quindi di varcare le porte del club. Entrai allora in quella oscurità fresca ed amabile come la grotta che diceva essere, impregnata dagli odori del rum, dal desiderio e dal fumo di sigaro nero, e carica - come avrei saputo poco dopo - dei  residui agonizzanti del passato, un ancient regime che la rivoluzione, come tutte le rivoluzioni che si rispettano,iniziava a bandire dall'isola scomunicandolo e ripudiandolo ogni giorno sempre di più.
Nella penombra potevo distinguere che in fondo c'era un piccolo palcoscenico e cercai il posto più vicino al bar. Indeciso ed inesperto, quando il barman mi chiese di ordinare , scelsi un rum Collins - solo perché il nome mi sembrò appropriato- e mi disposi ad aspettare, mentre cercavo di squarciare l'oscurità ed intuire , più che vedere, le coppiette che, tra una bevuta e un'altra, portavano avanti i loro giochi d'amore sui morbidi  cuscini del salone. All'improvviso  le fioche luci del club si spensero e ci fu un prolungato silenzio che galleggiò sopra il buio fitto.
La  languida  melodia di un pianoforte riempì finalmente lo spazio del locale e, nel buio ascoltai per la prima volta la voce di Amada Luna

                                  Me recordarás 
                                  cuando en la tarde muera el sol,
                                  tú me llamará en las horas secretas
                                  de tu sensibilidad.
                                  Te arrepentirás de lo cruel que tú fuiste 
                                  con mi amor,
                                  te lamentarás 
                                  pero será muy tarde
                                  para volver.
                                  Te perseguirán los recuerdos divinos del ayer,
                                  te atormentará,
                                  tu conciencia infeliz...

 C'era qualcosa di diverso in quella voce, piccola, calda,dura, calibrata con precisione, che sembrava sussurrare all'orecchio piuttosto che cantare. Nel momento in cui disse " Te arrepentiràs", una fievole luce illuminò il palcoscenico facendo risaltare la figura di Amada Luna. Appoggiata su  uno sgabello, la donna continuò a cantare il suo sussurro d'amore, con la testa inclinata, come ad esprimere un profondo rimpianto. I capelli le coprivano quasi il viso e solo nel momento in cui ne portò sulle spalle la cascata ribollente , potei scoprire che cantava con gli occhi chiusi e il microfono - tutti sanno cosa a cosa somiglia un microfono - quasi messo tra le labbra.





Sentii subito che una strana magia proveniva da quella combinazione di luce, musica, profumi, sentimenti, voce e femmina, una magia che non aveva nulla a che fare con il mio abbagliamento di giovane provinciale - già lo sapete - che soffriva di un prevedibile attacco di passione: quello che stava accadendo  era qualcosa reale e palpabile, però capitava in un'altra dimensione dei sensi, dove io incontravo una logica propria per la canzone e la musica, grazie a quella donna più piccola di quel che avevo immaginato, meno formosa di quel che avevo sognato, che si muoveva appena, ma che con la sua voce calda e la sua  sola presenza era capace di sedurre quel pubblico  di ubriachi e spacciatori, creature della notte e coppiette di innamorati, di inguaribili solitari e giovani innocenti , tutti prigionieri dell'incantesimo tirannico  dei boleri cantati da Amada Luna.
Anche dopo altre otto canzoni  l'incanto  rimase invincibile, incluso il momento in cui Amada  mormorò "Grazie", quasi riluttante e nessuno poteva muoversi, né  parlare, né bere, imprigionato nelle reti del magnetismo di  Amada Luna e per il sua modo devoto e viscerale di sentire il bolero, finché accettò la sigaretta accesa che le porse il pianista, e disse "Buona notte"... ed io iniziai  ad applaudire, nel momento in cui si spense la luce centrale e, come in un sogno o un miraggio  Amada Luna scomparve nel buio. Mai prima  d'ora avevo pensato che la musica smielata e lacrimosa di un bolero potesse avere un simile potere di seduzione; mai, fino a questo momento, avevo provato quella necessità  fisica che Amada Luna mi stava provocando;  neanche in sogno avevo immaginato che quel mondo di rum,  di penombre, ,di sigari, di notti insonni e di lussuria trattenuta potesse comunicarmi le sensazione di appartenenza che mi stavo godendo. Senza dubbio  fu tutto talmente meraviglioso quello che era accaduto durante quel giorno di ingresso nei miei diciotto anni tanto che, la notte seguente , sullo stesso sgabello, tornai a chiedere un rum Collins e ad ascoltare, attraverso una quasi impenetrabile nube di fumo, il bolero che Amada Luna cominciò a cantare solo per me.
 Chiunque non abbia provato qualche volta che la estetica decadente e prevedibile del bolero sia una delle migliori espressioni della vita, sarà sicuramente incapace di capire la comunicazione prodigiosa che questa musica riesce a  ottenere con i sentimenti. Per quanto i suoi testi maltrattino a volte la poesia con frasi impegnate ad esprimere  emozioni fin troppo evidenti, e la sua melodia attacchi impietosamente le scale più smielate del pentagramma, la virtù permanente di un buon bolero si fonda nella capacità di sedurre  e nel potere di evocazione che sono sempre legati ad una voce ed a un modo di cantare, più che a un verso e a una melodia. Però, chi non abbia assistito allo spettacolo di sentire e vedere Amada Luna in quelle notti perdute de La Avana, non riuscirà mai a comprendere perché ogni volta che riuscivo a trovare i soldi necessari, dimenticavo gli studi ed i raduni politici e me ne andavo come un fanatico verso La Gruta a sprecare il mio tempo ed il mio denaro, senza altra speranza che di sentirla cantare, vederla fumare, sentirle dire - Grazie, Buona Notte- e contemplarla poi - giorno dopo giorno  sempre più in estasi - mentre beveva  il suo bel bicchiere di Carta Blanca, solo uno, servito in un calice alto, con un cubetto di ghiaccio e allungato con ginger ale...Fatto curioso di quella donna era che, una volta finito di esibirsi, se ne scendeva al bar con la sigaretta tra le labbra e beveva in silenzio quell'unico bicchiere di rum. Doveva essere una vecchia abitudine , perché nessuno occupava mai il suo sgabello, il barman le serviva il suo Carta Blanca e Amada lo beveva con sorsi lenti, sbirciando appena tra i capelli il ghiaccio che  finiva di sciogliersi, finché alle due del mattino, ora di chiusura, finiva il resto del drink  e usciva in strada, senza parlare a nessuno senza nessuno che la accompagnasse, nessuno che la aspettasse,  mentre io la vedevo allontanarsi, incapace di avvicinarla, pieno di dubbi e  traboccante di desiderio.

Tante notte la vidi cantare, bersi il suo drink e andarsene sola verso il suo mistero che, con tutta la mia forza di volontà, decisi di troncare quella storia  che già si stava diventando soffocante e mi rubava tutta la concentrazione. Se la mia timidezza mi impediva di non fare altro che guardarla ed ascoltarla dal mio cantuccio, immaginando che alla fine non mi sarei mai deciso ad abbordarla, la cosa migliore era di sviare le mie aspettative e dimenticarmi di questa amore impossibile di cui non avrei mai dovuto saper niente nella mia vita, che mi aveva convertito in un fumatori di sigari neri e che poteva costarmi il primo anno della carriera universitaria. Decisi allora di non tornare alla Gruta, di non camminare per la Rampa e le sue tentazioni, non ascoltare più boleri e di evitare ogni vicinanza ai luoghi che conducevano a un fantasma chiamato Amada Luna. Arrivò il settembre del 1968 e  l'inizio del mio secondo corso alla università. Le vacanze estive, che avevo trascorso a casa, lontano da L'Avana e dalle sue dissolute tentazioni,avrebbero dovuto aiutarmi nel mio proposito di togliermi Amada Luna dalla mente, e, tornando in città, pensai di essere ormai guarito dalla dipendenza che  mi avevano inoculato quella donna e le sue canzoni. Mi confortò sapere che stavo recuperando la mia abituale tranquillità e che mi sarei di nuovo incontrato con i miei compagni  nella gelateria Coppelia, dove a colpi di gelati e di rum nascosto nelle taniche, organizzavamo grandi dibattiti  dove insistevamo a parlare di temi elevati, così lontani dal bolero e da quel mondo decadente.
 Mi risultò abbastanza facile resistere all'impulso di passeggiare per la Rampa, verso la Gruta, e credo che Amada Luna sarebbe oggi solo un lontano ricordo se una notte i miei compagni di università non avessero proposto di fare un salto alla Gruta. Alcuni di loro, che avevano assistito agli spettacoli della cantante e si erano entusiasmati del modo singolare in cui cantava il bolero,  insistettero per andare a vederla, e le mie difese , più deboli di quel che credessi,  non ebbero bisogno  di quel pretesto per sciogliersi come cera al fuoco.

Non di meno, entrare a La Gruta e chiedere un rum Collins fu come tornare al mio posto. Mancavano quindici minuti all'inizio dello spettacolo di Amada Luna e scoprii che il mio cuore palpitava  e che per l'ansia avevo tutte le mani sudate. Mi risultò incredibile constatare fino a che punto fosse arrivata la mia forza di volontà per vietarmi di ritornare in quel posto per quasi due mesi. Ma ora, perso il controllo, compresi anche  che non sarei mai dovuto tornare, ed ebbi la assoluta certezza del mio errore quando si spensero le luci e dal cuore delle tenebre sgorgò la voce densa e sussurrante di Amada Luna.

Atiéndeme..
quiero decirte algo que
quizás no esperes,
doloroso tal vez,
Escúchame...
que aunque me duela el alma
yo necesito hablarte,
y así lo haré.
Nosotros 
que fuimos tan sinceros,
que desde que nos vimos
amándonos estamos
Nosotros 
que del amor hicimos
un sol maravilloso,
romance tan divino.
Nosotros
que nos queremos
tanto debemos separarnos
no me preguntes más.
No es falta de cariño,
te quiero con el alma,
te juro que te adoro y
en nombre de este amor
y  por tu bien...te digo adió


In quel momento accadde qualcosa di meraviglioso ed inconcepibile: Amada Luna, che aveva cantato tutto il bolero con la forza e la superbia di sempre, senza neanche degnarsi di  di ravviare i capelli che le coprivano il volto, si aggiustò quella cortina furiosa , ed vidi allora che mi guardava e sulle sue labbra si iniziava il lieve movimento di un sorriso. Mi stava guardando? Stava sorridendo a me, lei ,Amada Luna?  Credendo che volesse sbarazzarsi di me ascoltai il suo spettacolo  e, mentre attaccava il suo ultimo bolero - La vita è un sogno - come dimenticarlo - dissi ai miei amici di non sentirmi bene e che volevo andarmene. Senza aspettare risposta uscii, traversai la Rampa  e mi infilai in una Plymouth Plaza del 1958,per aspettare che i mei amici uscissero dal club e se ne andassero a dormire all'università. Allora attraversai la strada, spalancai la porta della Gruta, già senza portiere in queste ore tarde della notte, e vidi come La Dama Triste del Bolero alzava il calice e beveva un sorso del suo Carta Blanca. Con una decisione che non conoscevo e un'ansia che mi sormontava mi avvicinai al bar e ,quasi  sfiorando il braccia di Amada, chiesi un Carta Blanca on the rock , mi accesi una sigaretta e mi voltai per osservare quella donna capace di sedurmi con la sua voce ed i suoi boleri. - Finalmente sei arrivato... - mi disse, con lo stesso tono, sussurrante  e grave con cui cantava, e si rimise in ordine i capelli che continuavano a cadergli sul viso - Pensavo che te ne fossi andato...Tutti i giorni se ne vanno in tanti -No, è che...- provai a dire qualcosa, ma compresi subito che non era possibile e bevvi un sorso devastante del mio rum - Mi avevi notato? - Amada non rispose: non rispose mai a nessuna domanda. Avvolti dalla nube di fumo creata dalle nostre sigarette, Amada guardò il suo bicchiere, il ghiaccio era quasi sciolto, e lo bevve tutto in un solo sorso.
Andiamo? -mi chiese, o meglio, mi ordinò e, come se già mi aspettassi quella richiesta, misi un biglietto da 10 dollari sotto il bicchiere e la aiutai ad alzarsi.





 La prima donna con cui avevo avuti rapporti sessuali era una ex prostituta, ufficialmente riabilitata dalla Rivoluzione, che si faceva chiamare Maria la Luchadora ( la combattente,NdT), e per due pesos si incaricava di sverginare i ragazzi del barrio, con la precisione di un chirurgo. Poi ci fu Irina, " La Russa che ci insegnò a scopare", che in realtà era ucraina e ninfomane, che appena suo marito andava alle esercitazioni militari, - era un negro gigantesco, ufficiale dell'esercito, graduatosi nei primi corsi di artiglieria cui parteciparono i cubani in Unione Sovietica -apriva le finestre e girava nuda per casa e dava libero sfogo alla sua lussuria offrendo gratuitamente e socialisticamente la sua arte amatoria ai  vogliosi ragazzi del quartiere. Dopo la morte di Irina, per mano del suo pluri tradito artigliere, ebbi varie ragazze ma solo una di esse, la grassoccia e gentile Isabel Maria, mi aveva permesso di andare oltre. Tuttavia, nessuna di quelle ragazze, con cui avevo provato desiderio e passione, procurarono in me la sensazione di totale  abbandono in cui mi lasciò il fascino seduttore di Amada Luna. Ciò che assaporai quella notte  e le altre otto notti seguenti grazie ad Amada Luna è tutta un'altra storia.
L'alberghetto dove ci rifugiammo , nei pressi della Università, doveva essere sordido come tutti gli alberghetti di La Avana. Ma, folle di desiderio come ero, a stento mi soffermai su niente che non fosse il festino di sesso che mi servì quella donna che, nella pratica dell'amore, beneficiava di quella stessa meravigliosa abilità che utilizzava quando cantava il bolero. Ho già detto che il suo corpo non era particolarmente voluttuoso:anzi era piuttosto magra, aveva un piccolo seno e le sue natiche strette e dure erano lontane dal volume abituale nelle donne cubane. Però la abilità, a volte come distaccata, con cui utilizzava le sue armi, e la capacità seduttrice che metteva in atto nel suo lavoro, risultarono devastanti: e se fino a quel momento ero stato innamorato di una possibilità di una donna che mi abbracciava con la sua voce, ora  ero impazzito per un essere definitivamente reale che insisteva a non voler cantare il bolero fuori dal palcoscenico, che rifiutava di raccontarmi qualcosa della sua vita, che mi impediva di accompagnarla ad uscire dall'albergo, ma che, nelle due ore che mi regalava, era capace di ipnotizzarmi  con la sua maestria amatoria, appresa e perfezionata solo Dio sa in quanti letti della città. Per Amada Luna tutto era lecito e possibile nella intimità: il suo corpo intero poteva intervenire nell'amore  e sapeva eccitare ogni prolungamento, ogni cavità, ogni piega del mio. Curiosamente, amava sempre in silenzio e, come un direttore d'orchestra ordinava con le mani, indicava con gli occhi,avvisava delle sue intenzioni con le labbra.
 Una sapienza profonda, forse la stessa che la faceva diventare grande sul palcoscenico e affascinare prima, sedurre poi, era quella che la evocava per l'interminabile dispiegamento di mezzi erotici che, per nove notti indimenticabili, mise a mie disposizione
Cosa sarebbe successo se avessimo avuto più di nove notti? Ancora oggi non posso nemmeno immaginarlo, ad ogni incontro Amada faceva salire quella spirale erotica e introduceva variazioni languide o violente, ardenti o sorprendenti nei nostri giochi amorosi, con una schiacciante intensità creativa che mai ho incontrato in altre donne. Ogni notte era come la prima e, svestita, mezza svestita o completamente vestita, si metteva all' opera con la sua determinata necessità di sedurre uno che, oltre che sedotto,  già era pazzo di amore e desiderio, convertito in una massa senza cervello, capace solo di provare il piacere che lei si obbligava a propiziare. Se solo avessimo avuto  più di nove notti...Neppure riesco a scordare che la mia decima notte con Amada Luna  avrebbe dovuto essere il 2 ottobre del 1968. Era stata decisa per quel giorno una radicale Offensiva Rivoluzionaria, impegnata a mettere in mano statale tutta la economia e la ideologia dell'isola, mentre si cominciava a preparare un gigantesca raccolto di zucchero, che nel 1970 avrebbe prodotto dieci decisivi milioni di tonnellate di zucchero con i quali. in una sola volta, il paese sarebbe potuto uscire dal sottosviluppo e dare un salto verso la perfezione comunista. Ma io, concentrato sulla mia voragine di amore e sesso, voltavo le spalle alla grande tempesta  che si andava scatenando, perché ogni mio neurone respirava in funzione di Amada Luna.
Come nelle notti precedenti, alle dieci di sera in punto, lasciai la camera del mio ostello universitario e me ne andai verso la La Rampa e le sue luci, le sue aspettative e le sue promesse finalmente mantenute a un livello che non avrei mai immaginato. Mancava un minuto alle undici quando attraversai la strada e di colpo precipitai nell'abisso. Le luci al neon della Gruta erano spente e per un instante pensai fosse lunedì, anche se ero sicuro che fosse  giovedì 2 ottobre. Le luci della via illuminavano la scala che portava al club e dal marciapiede, già pieno di angoscia, vidi le porte del night sbarrate e lessi il manifesto che diceva:
                         CHIUSURA FINO A NUOVO AVVISO










 Con un ansia che minacciava di soffocarmi, cercai di immaginare cosa fosse successo, quando scoprii a terra in un angolo del piccolo vestibolo del club, il manifesto in cui avevo visto Amada Luna per la prima volta. Lentamente scesi le scale e girai lo striscione, vidi che il cristallo si era rotto, ma che, attaccato al cartone, c'era la foto  de LA DAMA TRISTE DEL BOLERO e l'annuncio  di alcuni spettacoli che non ci sarebbero mai più stati. Con tutta l'attenzione di cui ero capace di chiedere alle mie mani tremanti, presi la foto ed uscii da La Gruta come se avessi rapinato una banca.
Con quel tesoro in tasca, mi recai nei night vicini e scoprii che erano stati tutti chiusi fino a nuovo avviso. Preso dalla disperazione  domandai a diverse persone se sapessero cosa era mai successo e pezzo dopo pezzo trovai la risposta: poiché tutta la nazione doveva schierarsi con la Grande Raccolta  dello Zucchero, i club ed i cabaret de La Avana erano stati dichiarati covi di decadenza borghese e perniciosa oscurità,e potevano ostacolare la dedizione degli uomini al grande evento economico, e subito era stato deciso di chiuderli , per trovagli una migliore destinazione: forse mense,o sale di riunione, forse ristoranti democratici per lavoratori distaccati per la emulazione lavorativa o lavori agricoli...
La notte non dormii e il giorno seguente iniziai a cercare Amada Luna. Avevo tutto contro, incluso non sapere il suo vero nome, sospettavo infatti che il suo  fosse un nome d'arte, però avevo in mio favore  la traccia di averla vista prendere, una mattina dopo aver fatto l'amore,la strada 68 . E come l'altra volta il mio piano era semplice: dal Vedado intrapresi la ricerca seguendo il percorso del bus, che aveva il suo capolinea nel lontano barrio di Mantilla. Mostrando la foto e chiedendo ai vicini, bottegai, fornai, ad ognuno degli autisti  del 68, setacciando la città da nord a sud, sotto il sole spietato, con la sete, la fame e la disperazione, ma senza ottenere una concreta evidenza sul destino di quella donna senza cui sentivo di non poter vivere. Diciotto giorni di investigazione e la morte delle mie scarpe mi portarono a terminare la pista della strada 68.
Le speranze di incontrarla erano ogni giorno minori, ma una luce di speranza si accese quando riuscii a parlare , al capolinea, con un autista  che di solito copriva il turno della mattina sulla strada 68. L'autista, un mulatto sulla cinquantina, sparito fino ad ora per via di una punizione, riconobbe subito la foto e mi spiegò che Amada aveva viaggiato con lui fino a la Calzada de Dolores, dove c'era una coincidenza per il barrio di Lawton. Però  l'uomo aveva un'altra notizia per me: tutti gli artisti dei night e dei cabaret erano stati mandati a raccogliere caffè nel cosiddetto Cordòn de La Habana,  e qualche giorno dopo, mentre stava provando un autobus appena riparato, li aveva visti nel vicino paesetto di El Calvario, al margine della città. Senza aspettare nessun bus che portava a El Calvario - nome appropriato alla mia agonia - continuai la mia ricerca di Amada Luna. Quella area della grande Avana che non avevo mai visto prima appariva bellissima ai miei occhi disperati ed offriva una pista per la donna di cui avevo bisogno, da cui ero stato sedotto e abbandonato. Prima di raggiungere il centro di El Calvario, mi imbattei in dei ragazzi che mi indicarono la strada per un terreno  dove "gli artisti", così li chiamavano, stavano lavorando. Attraversai un campo arido dove alcune piccole e già appassite piantine di caffè stavano germogliando. Lì, sdraiato sotto un albero a godersi il venticello, incontrai un vecchio cantante che avevo spesso visto in TV e conosciuto come "La Voce D'Oro del Bolero". Con il cuore che mi batteva poiché avevo trovato il filo che poteva portarmi ad Amada Luna, lo salutai frettolosamente e gli chiesi se la conoscesse.
"Sicuro. Infatti è stata qui due giorni fa . Ma se vuoi vederla dovrai andare a Miami. Ho sentito che è partita lunedì con una barca."

Non mi resta che ammettere che questa è una storia piena di capricci del destino e di premonizioni del futuro. Sono passati trenta anni dal mio ultimo incontro con Amada Luna e, come mi aveva profetizzato La Voce D'Oro del Bolero - che era morto poco dopo, senza calcare più i palcoscenici dei cabaret che lo avevano reso famoso -, sono dovuto andare fino a Miami per riuscire ad incontrare Amada Luna.
Fu nel maggio del 1998 quando andai per la prima volta negli Stati Uniti, invitato a partecipare ad un congresso, e prima di tornare a l'Avana passai diversi giorni a Miami, dove ora vivevano molti dei miei vecchi amici, la mia sola sorella, quasi tutti i miei cugini e alcuni zii.
Furono giorni pieni di emozioni, di felici incontri e definitivi addii con amici che credevo perduti o morti, di ricordi di tempi andati, di salvataggio di ricordi e complicità con persone che avevo molto amato e che non vedevo da dieci, venti, trenta anni: fu un recupero necessario di una parte della mia vita e del mio passato che le decisioni politiche mi avevano tolto.
La notte della partenza mia sorella decretò che avrei passato la notte con lei e, invece di mangiare i piatti cubani che preparano nel ristorante La Carreta, lei e mio cognato mi proposero di andare ad un night di Miami Beach che, secondo loro, era di solito tranquillo e ben frequentato, in cui si ascoltava solo bolero. Erano le undici della notte del 16 maggio quando arrivammo a La Cueva, uno dei tanti locali alla moda in Ocean Drive. Appena entrammo nel club, qualcosa nell'aria, nella luce, nel profumo mi comunicò sensazioni che credevo ormai perdute e, senza premeditazione, chiesi al barman un rum Collins. Mia sorella e mio cognato, che parlavano senza sosta di quanto si stesse bene lì, temendo forse che il posto mi risultasse noioso, fecero silenzio quando le luci si spensero. Allora, dalla oscurità e dall'angolo più lacerante del passato, uscì una voce, tenue e calda, che iniziò a cantare per me:

Después que uno vive
veinte desengaños
que importa uno más,
después que conozcas,
la acción de la vida
no debes llorar.
Hay que darse cuenta
que todo es mentiraque 
nada es verdad.
Hay que vivir el momento felizha
y que gozar lo que puedas gozar
porque sacando la cuenta en total
la vida es un sueño,
y todo se va.
La realidad es nacer y morir
porque llenarnos de tanta ansiedad,
todo no es más que un eterno sufrir,
el mundo está hecho sin felicida



Una delle più brutali imposizioni che la vita mi ha fatto fu quella di dimenticare Amada Luna. Quella sera del 1968, sotto l'albero di El Calvario, quando sentii che lei se ne era andata da Cuba e compresi in quale abisso ero caduto, decisi che dovevo cancellarla dalla mia mente o che sarei impazzito. Per questo, senza voler saper più nulla di lei e dei suoi misteri, né del suo vero nome, né se avesse famiglia, né da dove fosse venuta per entrare nella mia vita, attraversai piangente per un'ultima volta il campo aperto dove le piantine di caffè  erano ormai   morte sotto il sole implacabile,mentre cercavo di sfuggire dalla opprimente necessità che mi aveva creato quella donna. A dire il vero, non fu facile: per anni non volli più ascoltare bolero e per anni mi fu impossibile amare altre donne: nessuna mi permetteva di raggiungere le scale del piacere che avevo goduto con lei, e il sesso mi sembrava ripetitivo e quasi vuoto. Ma il passare di tutti questi anni, l'impegno che misi nei miei studi, i tanti mesi che passai lontano dall'Avana tagliando canne da zucchero per La Gran Zafra Azucarera che non risultò poi essere così grande come sperato e non ci liberò dal sottosviluppo, e soprattutto, l'arrivo di un'altra donna - mia moglie - mi aiutarono ad alleviare quel ricordo che non ho mai potuto dimenticare del tutto che conservavo nel baule ben chiuso delle mie più dolorose nostalgie.

La signora che ora imitava  lo stile drammatico e superbo di quella che una volta era stata La Dama Triste del Bolero e aveva animato le notti perdute della Gruta, aveva sessanta anni, qualche chilo in più, un po' meno della voce roca di allora, e i capelli di un rosso ancora più esagerato, non le cadevano più con furia sul viso. Tuttavia , padrona delle sue possibilità, lo spettro della donna che una volta mi aveva fatto impazzire, conservava ancora una affascinante comunicazione con le sue canzoni, sempre sussurrate, come dicevo, all'orecchio, con quel sentimento interiore che Amada Luna sapeva tanto bene esprimere.L'uomo che ora la stava ascoltando, con quasi cinquanta anni sulle spalle, era molto distante da quel giovane  cattolico e provinciale d'altri tempi, e per quanto sempre scettico integrale, si credeva al riparo di quella decisa capacità seduttiva,  chiusa  in modo ferreo nel passato;  però compresi subito che stavo sbagliando. Con le mani sudate, come trenta anni prima, ordinai un Carta Blanca ghiacciato e finii di berlo proprio con l'ultima canzone di Amada Luna, e immediatamente, mi alzai in piedi e uscii in strada, sentendo che non esisteva sulla terra abbastanza ossigeno per i miei polmoni.
 Non comprendendo cosa mi stesse succedendo, mia sorella  e mio cognato mi chiesero se volessi andare in altro locale ed io risposi con l'unica cosa che mi sembrò adatta:
   - Voglio andarmene.-






Quella mattina, mentre fumavo nel patio della casa di mia sorella, compresi che ci sono ricordi ed esperienze che sembrano incancellabili, e che  non la distanza , non il tempo, neanche  la politica sono in grado di cancellare. Però capii anche che trenta anni sono molti  e che tornare indietro non solo è impossibile, ma che provarci può risultare diabolico: i ricordi devono essere ricordi e qualsiasi tentativo per farli uscire dal loro rifugio è di solito devastante e frustrante. Ma ora, mentre ascolto un bolero cantato da Bola de Nieve e guardo di nuovo la foto di Amada Luna, percepisco nella memoria  la sua invincibile capacita di fascinazione, il suo sconfinato potere di seduzione, e mi consolo pensando che il destino, così ostinato in questa storia, non è stato così crudele come avevo sempre creduto: almeno avevo avuto la possibilità di gustarmi nove notti con Amada Luna e di sentire nell'anima e sulla pelle cosa si prova  dentro un bollente bolero di amore,.
E questa parte della mia vita nessuno potrà mai cancellarla.


  Mantilla,  Julio de  2001






I bolero che compaiono nel racconto sono: Me recordaràs di Frank Dominguez, Nosotros di Pedro Junco, e la La vida es un sueno di Arsenio Rodriguez








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